Un bel dì la formica laboriosa, affaticata dalla calura estiva, incontrò una cicala canterina che, felice del suo canto esasperante, strimpellava una chitarra assai grande. Stanca e mogia la formica s'apprestava a rincasare, col suo carico di roba da mangiare, prevedendo un sì lungo rigore invernale e lo scarseggiar del cibo sul terreno ricoperto dalla neve. Uno sguardo sorvolò quella cicala, che suonava e cantava a più non posso, sotto un pioppo, al riparo delle fronde, a godersi ampiamente la frescura. "Lascia stare di sudare e camminare, vieni qui vicino a me, t'insegnerò a cantare": "Canta, canta, che l'inverno è alle porte, suona e canta quel tuo canto petulante, poi non starti a lamentare, se la pancia resta vuota, senza nulla da mangiare". Replicò la formica, alquanto risentita. E il gelo venne infine molto presto, a rivestir la terra d'un candido mantello. La formica se ne stava nella tana, al calduccio, con la scorta di provviste, a svernare, in attesa del bel sole. La cicala canterina, non cantava dalla sera alla mattina, visto che la pancia vuota reclamava e borbottava perlomeno una cena. Ma, ahimè, senza esser previdente, nulla aveva messo in serbo, in attesa dell'inverno così freddo. Triste e in pena, chiese aiuto alla formica, che da ospite la prese, per saziare la sua fame, poi un consiglio elargire, affinché smettesse un poco di frinire e più saggia, in futuro, divenire.
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