Lo sguardo smunto e senza pace sul frutto tuo che al seno allatti, nutrice non più gravida di linfa sull'arsa terra che conduce a morte.
Palme chiare scavate dagli stenti, denti in fuori a mordere la rabbia, rami secchi agli angoli degli occhi e un velo d'innocenza che riluce dal breve gocciolar che bagna il viso.
Nostalgie di fiumi e d'argini fecondi, di noviluni spesi intorno ai sacri fuochi quando l'eco delle danze e dei tamburi vibrava forte nei visceri terreni fin dentro la capanna ove cullavi, al canto di guerrieri generosi, i tuoi sogni primitivi di fanciulla.
Ricordi antichi di un'età svanita nell'avida terra, tra l'aride pietre, di gesta superbe non più cantate, di nenie tribali divenute pianti, di madri fiere dentro le capanne.
Ora solo i gemiti a riempir le foreste, a vagar su gli altipiani e le radure, in un mondo che non dà più voce né terre su cui tracciare solchi né piante di cui godere i frutti né sogni, né memorie familiari.
Nubi polverose sui declivi spinte dal vento secco di stagione ove il respiro tuo s'impiglia e annaspa tra i bagliori del tramonto.
La pelle cede e ha un ultimo sussulto al labbro ritmato del tuo frutto che succhia dai tuoi seni inariditi la speme d'un futuro cancellato.
E allora volgi il guardo tuo morente sui campi un tempo sazi di manioca ove l'immago tua rivedi ancora tra le braccia vigorose dei tuoi avi...
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