Era d'inverno il dì che mi fu luce, lungi il papà mio a servire il Duce che portò guerra là, dov'era pace con avidità d'uccello rapace; In quella Terra D'Africa Orientale che per l'italica gente fu fatale. Era di venerdì l'infausto giorno, lenta la campana dava il mezzogiorno, poi, il vento sibilava acutamente mentre la sera avanzava lentamente. Di fulmini brillava il cupo cielo e tutt'intorno era freddo e gelo.
Era carestia totale, la più profonda. Indotta dalla circostanza immonda per quella guerra sciagurata e dura che cacciò la gioventù dalle sue mura. In questo clima squallido e miserando la vita mia s'incamminò arrancando. Man mano che m'avanzava io negl'anni piangere vedea mamma per gli affanni, mentre mi carezzava il volto dolcemente mi ripeteva, stanca, tristemente: Nato sei in miseria e nell'inferno chissà se pace avrai, tu, qualche giorno!
Era lo stato che da marmocchio vissi, precari i giovanili anni pregressi, e ora che m'affaccio all'età vetusta anche la vecchiaia appare guasta. Perché mi si domanda? È presto detto: L'epoca cui viviamo l'uomo ha corrotto per cui pur quelli che ti stanno in petto di stima, pure loro, fanno difetto. Così gli affetti che mi stanno a fronte Pur'essi, mio sangue, sono indifferenti. Degli altri se ne faccia un fascio solo: tutti d'accordo, man lasciato solo. Morrò con dolore dentro il cuore per mancanza d'affetto e loro amore.
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