Quando ch'avvenne ch'eri nel patibolo e più da presso starti ti dovevo fu allora che caddi da sul trampolo, forza non ebbi e al male soggiacevo. Pur negli sforzi che mal custodivo cercavo apparire quieto e disteso ma dolce, più sovente, la tua voce udivo che mi spronava ad essere men teso.
Tu domandavi, quasi non sentivo, con gli occhi m'imploravi: Io fremevo, volevo in quei momenti esser non vivo; in cuore avevo te e te vedevo nel grand'affetto che per te portavo. Un attimo e spariva il delirio, per poco, quasi, calmo ritornavo e s'imponeva d'abbraccio il desiderio.
Ma nel cercare di formular lo slancio l'incubo dentro al cuor rigenerava, l'animo ribolliva, mi bloccava e nel dispero ancor lo trainava. Nell'impotenza a discostar pensiero dentro qualcosa mi struggeva il cuore e nella finzione e non nel vero sforzo teneva a dimostrare amore.
Vero quel sentimento sincero e puro fu lo supporto a ritrovar la via a rivedere nel venir futuro quant'ancor dolce il vivere dolce sia e la cagione ch'era del malore fu pian pianino a margine riposta e l'amore il posto prese al dolore donando al male, indi, ferma risposta.
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