Disquisire di te, del tuo sembiante arduo perviene a me vate cadente che altre sublimi Menti aviano vanto con diligenza dire di tanto manto. La testa ch'è vagante e pertinace non tiene pace a essere incapace
e allora s'inoltra nell'oscura selva, tenacemente, ad affrontar la belva. L'arma con cui combatte è una penna che patisce dir del cervel ch'affanna, che s'arrovella e non trova forma l'enunciar che vorrebbe in piena norma.
Mò pare che irta poco meno è l'erta, indi, la scritta scorre un po' più certa. Entra nel mezzo di folta foresta e, caparbiamente, a belva tien testa. Vede la bontà dell'esser tuo, descrive la dolcezza del tuo cuore, rivive
quanto grande per l'altrui hai amore e della carità lo gran spessore. Ma nell'andare incespica, cade, s'alza, si rincammina, ricade, sobbalza ma intricato di cespugli è il loco indi la penna più non regge il gioco.
Si sfiducia, s'abbatte, indi, soggiace. ma sol per poco, essa, però, si tace. Chè una penna pur debole e flemma si scalda e brucia più d'immensa fiamma, e ancora maggior di fiamma rossa diviene se a bontà s'affaccia e non a pene.
Qui la dolcezza, in breve, vuol narrare d'uomo gentile che sa soltanto amare. Di te vuol dire, Cavaliere illustre, della schiettezza limpida, campestre ch'altra maggior, giammai, rilevi altrove e puranco la scorza zotica rimuove.
Cuore gentile, colmo d'ogn'affetto che per il ben'altrui non tien difetto, proclive e lesto a propinar man forte e al bisognoso schiudere le chiuse porte. Se di un essere eretto già hai scritto e anche in verbo ripetuto e detto
della dolcezza e umanità infinita ch'altro vuoi dire che porta in sé tal vita? Ch'altro un uomo può aver che spinge oltre la carità e che dolcezza aggiunge a stile, bontà, fede e grand'amore? Se cotante virtù racchiude in cuore
cosa vorresti, penna, dire più ancora? Qui, diletto amore, la mente si scolora perciò t'implora a gentil riflessione alfin che t'ammanti di comprensione e per la mente che troppo vacilla quanto pel cuore che in pett'oscilla.
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