Sei tu che mi salvi, dai numeri, dai nomi, dai calendari, dalla vergogna della parola degradata a guscio vuoto, di cicala scoppiata.
Dilati distanze con morti confini, schiudi regni sottratti al tempo, dove non son più Nome. Ma d'albero scorza rugosa, e sotto la terra sento l'acqua che mi nutre, e sopra lame di sole attraversarmi i rami. Sono l'erba delle praterie e sento l'aria aprirmi in varchi. Sono il vento infuocato del deserto raffreddato nelle pietra Sfinge, a sfidare l'oblio dei secoli e il brulichio degli umani.
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