Sotto quei vestiti, trionfi di stoffe partenopee e arabeggianti, ho tessuto le trame del mio lungo viaggio, ho intrecciato lunghi fili di speranze, di gesti audaci di cui ero inconsapevole e tuttora lo sono. Ho cucito pazientemente una tela, rendendo il mio corpo a guisa di una Penelope in trepidante attesa di un Ulisse lontano. Ho composto così la mia Odissea, io sola su un'imbarcazione malmessa con vele dai colori tenui, e lacerate in più punti. E ogni giorno ho aggiunto toppe a quelle vele le ho rese possenti, resistenti alle intemperie, all'acqua salata del mare, ai milioni di Cariddi che vorticavano sotto di me. Sono stata timoniere di questa zattera abbracciata dall'acqua e dal vento, ma mai ho ceduto mai per un solo istante ho abbandonato i remi all'oscuro destino dei fondali. Sotto quei vestiti rattoppavo le mie vele, ricomponevo le pertiche che tenevano insieme gli assi del mio catamarano, tessevo le trame del mio lungo viaggio e dell'audacia cibavo il mio spirito. Sopra le vesti crescevano le onde dei miei ricci indomiti e le lasciavo libere di posarsi, di contemplarsi nel loro groviglio creativo, e quante volte ho districato i nodi ed essi si riassettavano. E quante volte ancora, nella mia nostalgica traversata ho stretto le mani in grossi pugni, e se ora li dischiudo guardo languida ciò che nelle palme è sopravvissuto. Nodi attorcigliati ma fulvi, stoffe consunte ma brillanti, trucioli di legno imbalsamati di salsedine ma vivi e orgogliosi di quanto hanno solcato.
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