Può esistere qualcosa prima della neve? Prima di quella purezza implacabile, implacabile come il messaggio di un mondo che non amiamo, ma cui apparteniamo e che si intuisce in quel suono tuttavia fratello del silenzio. Quali dita ti fanno cadere, polverizzato scheletro di petali? Cenere di un cielo antico che fa restare solo davanti al fuoco ascoltando i passi dell'amico che se ne andò, eco di parole che non ricordiamo, ma che ci fanno male, come se le stessimo pronunciando di nuovo. E può esistere qualcosa dopo la neve? Qualcosa dopo l'ultimo sguardo del cieco al pallore del sole, qualcosa dopo che il bimbo malato dimentica di guardare il nuovo mattino, o meglio ancora, dopo aver dormito come un convalescente con la testa sulla gonna di colei che a volte si ama. Chi sei, neve notturna, fugace, disciolta primavera che sopravvive sul ciliegio? O che importa chi sei? Per guardare la neve di notte bisogna chiudere gli occhi, non ricordare nulla, non chiedere nulla, scomparire, scivolare come lei nel visibile silenzio.
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