Boccaccio era il portiere, il gran portiere giallo della squadra del quartiere. Stava all’erta come un gallo
sulla porta del campetto alla periferia. Diceva: "Qua sul petto, ed ogni palla è mia".
Ma quel giorno, chi lo sa, sbuca di qua sbuca di là - Boccaccio attento! - pa pa la palla è in rete. "Ma va, ma va, Boccaccio, è uno".
Attento, di qua di là, passa non passa, tira. Boccaccio si rigira; si tuffa - passerà?- "Qui non passa nessuno", ma la palla è nel sacco.
E son due. Lo smacco, i fischi, e poi sotto... "Salta a pugno, Boccaccio, ma non la vedi dov’è, salta, salta"... E son tre.
E quattro e cinque e sei. - Boccaccio dove sei?- E sette e otto e nove e piove e piove e piove con grandine e con tuoni. Quattordici palloni nella rete di Boccaccio poveretto poveraccio, bianco come uno straccio col berretto da fantino ubriaco senza vino.
Quanti fischi! e poi "cretino", "pastafrolla", "posapiano", "tappabuchi", "moscardino!" Oh, quel povero Boccaccio nella furia del baccano si strappava i suoi capelli e la folla dai cancelli gli gridava: "Ancora, ancora".
Tutti tutti, ad uno ad uno si strappò capelli e baffi e poi schiaffi sopra schiaffi si ridette per lezione. Restò lì con la sua testa tonda, liscia come palla. "Oh, son quindici con questa - gli gridò dietro la folla - tappabuchi, pastafrolla vai a guardia d’un portone!"
E difatti il buon Boccaccio col berretto e col gallone, mani pronte e spazzolone, oggi è a guardia d’un portone dove passano persone che fermare egli non può, dieci venti cento e più.
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