Per dilettarsi, sovente, le ciurme catturano degli àlbatri, marini grandi uccelli, che seguono, indolenti compagni di viaggio, il bastimento che scivolando va su amari abissi. E li hanno appena sulla tolda posti che questi re dell'azzurro abbandonano, inetti e vergognosi, ai loro fianchi miseramente, come remi, inerti le candide e grandi ali. Com'è goffo e imbelle questo alato viaggiatore! Lui, poco fa sì bello, com'è brutto e comico! Qualcuno con la pipa il becco qui gli stuzzica; là un altro l'infermo che volava, zoppicando scimmieggia. Come il principe dei nembi è il Poeta che, avvezzo alla tempesta, si ride dell'arciere: ma esiliato sulla terra, fra scherni, camminare non può per le sue ali di gigante.
bellissima poesia molto vicina alla mia sensibilità. A parte la difinizione di "poeta" che purtroppo non mi si addice, ho spesso provato il senso di esclusione e di esilio di cui si parla nel componimento, come se avere una sensibilità piuttosto spiccata attraverso cui vedere, percepire il mondo fosse da un lato un dono meraviglioso (le grandi ali dell'albatro che lo rendono il pricipe dei nembi, che gli permettono di fare del suo volo non solo un esercizio di muscoli finalizzato alla sopravvivenza ma anche e soprattutto una maestosa dimostrazione di potenza e bellezza, una sfida al cielo e ai propri limiti)e dall'altro un ingombrante fardello che non ti permette di amalgamarti, di confonderti con la mischia, di sentirti completamente integrata.
Commenti