Sfilate di funesti funerali. E loro sono lì, scuoiati al macello. Sagome di cartone con il mirino sul petto, colpiti uno ad uno da pallottole sparate da un killer seriale che sta sempre su un tetto troppo alto per poter essere avvistato in tempo. Paura di perdervi e di assistere, impotente, alla perdita. E mi manca l'occhio destro, il braccio sinistro, pezzi di cuore sparsi, come briciole, sul sentiero dove voi marciate. Il mio demone è la perdita, la paura della perdita, la solitudine che lascia la perdita. E perdere mi porta a chiedere e chiedere mi porta ad elemosinare, ma c'è un dio che pretende l'anima, ché non solo il diavolo la mercanteggia. Ed ho paura di rimanere, ché se avessi potuto seguirvi in quel luogo freddo di terra brulla e spoglia, a diventar cenere con voi ed a farmi sgretolare le ossa, avrei avuto più pace, invece, addosso, m'è rimasta solo pece. Mi sarebbero ancora cresciuti i capelli e ne avrei fatto funi per aggrapparci ancora alla (non)vita; le unghia si sarebbero ancora allungate e ne avrei fatto artigli per lottare e riportarvi indietro. E già molti mi sono volati via e mi rimane davvero poco e questo poco lo vedo tremare. E se è un tetro sortilegio che coloro che amo li vedo finire, divenir eterei fantasmi fatti di nulla, ché di nulla siamo fatti, questo me lo chiedo con quel profondo senso d'ingiustizia che mi sento montare dentro, quello che fa venire quel nodo stretto alla gola come se ci fossero corde che tirano la testa indietro e gli occhi diventano molli e liquidi come lo è questa nostra esistenza, liquida. E sono questi i miei demoni, le campane, i vermi ed i tamburi. E sono io il demone di questo dolore che ho dentro, demone dentro al demone, bambina partoriente lacrime.
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