Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola, amore, lungo la pianura nordica, in un campo di morte: fredda, funebre, la pioggia sulla ruggine dei pali e i grovigli di ferro dei recinti: e non albero o uccelli nell'aria grigia o su dal nostro pensiero, ma inerzia e dolore che la memoria lascia al suo silenzio senza ironia o ira. Da quell'inferno aperto da una scritta bianca: " Il lavoro vi renderà liberi " uscì continuo il fumo di migliaia di donne spinte fuori all'alba dai canili contro il muro del tiro a segno o soffocate urlando misericordia all'acqua con la bocca di scheletro sotto le doccie a gas. Le troverai tu, soldato, nella tua storia in forme di fiumi, d'animali, o sei tu pure cenere d'Auschwitz, medaglia di silenzio? Restano lunghe trecce chiuse in urne di vetro ancora strette da amuleti e ombre infinite di piccole scarpe e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie d'un tempo di saggezza, di sapienza dell'uomo che si fa misura d'armi, sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto marcirono e pietà, sotto la pioggia, laggiù, batteva un no dentro di noi, un no alla morte, morta ad Auschwitz, per non ripetere, da quella buca di cenere, la morte.
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