Talor, mentre cammino per le strade della città tumultuosa solo, mi dimentico il mio destino d'essere uomo tra gli altri, e, come smemorato, anzi tratto fuor di me stesso, guardo la gente con aperti estranei occhi.
M'occupa allora un puerile, un vago senso di sofferenza ed ansietà come per mano che mi opprima il cuore. Fronti calve di vecchi, inconsapevoli occhi di bimbi, facce consuete di nati a faticare e a riprodursi, facce volpine stupide beate, facce ambigue di preti, pitturate facce di meretrici, entro il cervello mi s'imprimono dolorosamente. E conosco l'inganno pel qual vivono, il dolore che mise quella piega sul loro labbro, le speranze sempre deluse, e l'inutilità della loro vita amara e il lor destino ultimo, il buio.
Ché ciascuno di loro porta seco la condanna d'esistere: ma vanno dimentichi di ciò e di tutto, ognuno occupato dall'attimo che passa, distratto dal suo vizio prediletto.
Provo un disagio simile a chi veda inseguire farfalle lungo l'orlo d'un precipizio, od una compagnia di strani condannati sorridenti. E se poco ciò dura, io veramente in quell'attimo dentro m'impauro a vedere che gli uomini son tanti.
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