Pur da queste serene erme pendici D'altra vita al rumor ritornerò; Ma nel memore petto, o nuovi amici, Un desio dolce e mesto io porterò. Tua verde valle ed il bel colle aprico Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor; Bulciano, albergo di baroni antico, Or di libere menti e d'alti cor. E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi Discendendo da i balzi d'Apennin, Come gigante che svegliato tardi S'affretta in caccia e interroga il mattin, Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti Di su l'aride carte anelerà L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti, Balze austere e felici, a voi verrà. Fiume famoso il breve piano inonda; Ama la vite i colli; e, a rimirar Dolce, fra verdi querce ecco la bionda Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar. De i vecchi prepotenti in su gli spaldi Pasce la vacca e mira lenta al pian; E de le torri, ostello di ribaldi, Crebbe l'utile casa al pio villan. Dove il bronzo dè frati in su la sera Solo rompeva, od accrescea, l'orror, Croscia il mulino, suona la gualchiera E la canzone del vendemmiator. Coraggio, amici. Se di vive fonti Corse, tocco dal santo, il balzo alpin, A voi saggi ed industri i patrii monti Iscaturiscan di fumoso vin: Del vin ch'edúca il forte suolo amico Di ferro e zolfo con natia virtú: Col quale io libo al padre Tebro antico, Al Tebro tolto al fin di servitù. Fiume d'Italia, a le tue sacre rive Peregrin mossi con devoto amor Il tuo nume adorando, e de le dive Memorie l'ombra mi tremava in cor. E pensai quanto i tuoi clivi Tarconte Coronato pontefice salì, E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte, Di leggi e d'armi il popol suo partì; E quando la fatal prora d'Enea Per tanto mar la foce tua cercò, E l'aureo scudo de la madre dea In su l'attonit'onde al sol raggiò; E quando Furio e l'arator d'Arpino, Imperador plebeo, tornava a te, E coprivan l'altar capitolino Spoglie di galli e di tedeschi re. Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor; Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi, L'agnel ti salta e túrbati il pastor. Meglio cosí, che tra marmoree sponde Patir l'oltraggio dè chercuti re, E con l'orgoglio de le tumid'onde L'orme lambire d'un crociato piè. Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni Che la vergogna dura: or via, non piú. Ecco, un grido io ti do - Morte à tiranni -; Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu. Portal con suono ch'ogni suon confonda, Portal con le procelle d'Apennin, Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda Dal gran monte plebeo, da l'Aventin. Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta: Allor chi fia che la vorrà infrenar ? Cento schiere di prodi a la vendetta Da le tue valli verran teco al mar. Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se piú tardi, Romito e taumaturgo esser vorrò: Da la faccia dè rei figli codardi Ne le tombe dè padri io fuggirò. Con l'arti vò che cielo o inferno insegna Da questi monti il foco isprigionar, E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna, Al Campidoglio vile io vò mandar.
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