Mi trovavo, di mattino, al Municipio giacché sbrigar dovevo un'incombenza; di botto fui d'ergumeni in corto spazio che perso aveano il senso della decenza. L'un volgarmente all'altro si scagliava mentre quell'altro, in urla, bestemmiava; l'uno del ladro dava al suo collega l'altro parea avere gusto a brutta bega.
L'uno la Benemerita invocava l'altro, la strozza, d'un balzo afferrava; quello di stazza grossa ed imponente rendea quell'altro nullo ed impotente. Fortuna l'ali stese, in quel frangente, giacché trovavansi vigorosa gente che, il piccolo sollevava con veemenza e al bisonte entrava in colluttanza.
Ed or, ciò detto, pure il mio pensiero, mi si consenta esponga: Degrado peggiore esser non potrebbe se al guado d'aspettar il collega l'altro n'è altero: Miserabili, di cordata, furon compagni per conquistare un umile sgabello e non disdegnaro neppur loschi convegni amando coda di leone a capo d'agnello.
Di bega e lascivia la gente non ha usanza, nel rispetto di legge vuole governanza; necessita, d'amministratori, vera presenza che alla comunità dia rispondenza. Uomini, quindi, di governo degni di rispetto intrisi, non di sdegni, ch'abbiano per sol fine bene comune e interessenze mai, giammai niune.
Chi della cosa pubblica ha la reggenza non stia un letargo e misera temperanza; s'adoperi a togliere crosta e indecenza, dimostri ancor fermezza e sua prestanza pur senza dare sfogo all'impazienza. Ridoni al popolo suo persa speranza, fà che ripudio non tocchi comunanza e designi il consigliere per competenza.
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