Scritta da: Daline98
Non devi solo accontentarti di ciò che hai, devi essere capace di riconoscerne il valore. Nell'attimo in cui non ti basta più, precludi una possibilità e sbatti la porta in faccia alla felicità.

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    In sintesi: io direi che l'accontentarsi di ciò che si ha non può derivare da altro che dal riconoscerne il valore, ma soprattutto dal riconoscere la preminenza dei valori interiori, quelli dell'essere, rispetto ai valori esteriori, quelli del possedere e dell'avere. In assenza, si tratterebbe non di un accontentarsi, ma di un sopportare, di un subire, che prima o poi darebbe la stura al vano perseguimento di effimeri e spesso perniciosi obiettivi.
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    Capisco. Ma a ben guardare, l'insoddisfazione che porta alla ricerca ossessiva di qualcosa di meglio attiene sempre a cose materiali: denaro, successo, potere, una casa migliore, una villa, due ville, una donna più bella, due donne più belle... : ) Quanto ai veri affetti, viceversa, questo fenomeno non si verifica: nessuno cerca un padre o una madre o dei figli o degli amici migliori: si tiene quelli che ha, o al limite, se proprio sono delinquenti incalliti, non se li tiene; ma non ne cerca altri. Quanto poi all'insoddisfazione spirituale, cioè al senso di inappagamento che nasce dal vedere la propria vita vuota e priva di significato, perché perduta intorno agli affanni materiali e alla continua ricerca di effimeri obiettivi, beh, si tratta di una insoddisfazione molto positiva, perché di solito prelude alla ricerca interiore...
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    grazie del commento Sig. Giuseppe, vista nel modo come l'ha descritta lei sono daccordo, la mia frase non era riferita a cose materiali, il non accontentarsi era rivolto all'insoddisfazione, alla continua ricerca ossessiva di qualcosa di meglio, che porta di conseguenza al non saper riconoscere il valore di ciò che si ha nel presente ..
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    Gentile sig. Giovanni, restituisco la visita attenendomi strettamente al contenuto del suo aforisma, che in verità mi appare di significato perplesso.
        A me sembra infatti che quando qualcosa non ci basta più, ciò non accada a motivo del fatto che non ne riconosciamo il valore, ma perché, sic et simpliciter, non ce ne accontentiamo più.
        Esempio semplice semplice: coloro che desiderano un'auto di cilindrata maggiore, non è che non riconoscano il valore dell'auto che già possiedono (tant'è che di solito non la gettano via, ma tentano di venderla al suo giusto valore); ma solo e semplicemente non se ne accontentano più.
        Il riconoscere il valore di ciò che si ha non mi sembra quindi costituisca un quid pluris rispetto all'accontentarsene; ma, semmai un qualcosa di meno.
        Forse intendeva dire che bisogna riconoscere il valore dell'accontentarsi di ciò che si ha? In questo caso mi troverebbe d'accordo; ma occorrerebbe modificare la frase, che esprime concetto diverso.
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    Grazie..

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