Al pontefice io scrivo senza essere allusivo, sarei morto naturalmente ma vivo artificialmente ché alla macchina attaccato la morte ho allontanato. Immobile trascorro le ore attaccato al mio dolore, gli uccellini sento cinguettare e nel cielo danzare, a me immobile nel letto mi fann solo dispetto. Non è invidia la mia è solo apatia è solo la tristezza di non poter fare più una carezza di non poter far più un passo di essere come un sasso. In silenzio trascorro le ore sento la macchina che fa da cuore non è etico vivere in questo modo, con in testa fisso un chiodo di staccare quella spina che alla vita non mi avvicina dalla morte non mi allontana ma mi lascia in campana, che presto possa suonare per poter annunciare la fine di questo stato e il vagito di un neonato che la speranza possa dare e la vita far amare. A voi tutti mi rivolgo e il disturbo ora tolgo, non vi attaccate alla vita finché non è finita, non fate come il vorace che non è capace di assaggiare solamente ciò che è offerto abbondantemente. La vita mi ha insegnato a non esserle attaccato e di poter apprezzare tutto quello che ha da dare, se son gioie o dolori sono sempre i colori di colui cha ha disegnato la vita che ci ha donato, ma quella artificiale è come un davanzale al quale ti puoi affacciare e il mondo solo guardare. La vita si mi è cara la morte non più amara e consapevole vi chiedo e da voi mi congedo quella spina per me staccate e il riposo a me date.
Commenti