L'aria infiammata che mi invoca a danze di primavera non può nulla ormai sopra il mio corpo sordido dagli anni.
La mia fame è più alata di un uccello ma si ciba di stupida gramigna.
Forme pure mi scuotono la mente perché traduca tutte le mie ire, ma ho le mani inceppate dalle tristi catene d'ozio e grande lo sconforto mi ha diluviata dopo che sparisti.
Se affidassi al buon vento questo viso dove già si accavallano le tracce di un'antica bellezza e mi affissassi alla mano pulita della luce, so che ne tornerei trasfigurata.
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