Commenti a "È possibile che tutto ciò che la scienza non..." di Sir Jo (Sergio Formiggini)


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Io posso definirmi assolutamente CERTO che se si riuscisse a procedere in questo modo scopriremmo come di incanto, dal collegamento tra le mille conoscenze che via via acquisiamo, la chiave per la soluzione di infiniti problemi, e forse anche la via per percorrere rapide tappe di avvicinamento al problema generale e finale.
     Ciascuno rimane invece attaccato alla sua visuale, e la sintesi, chi la fa? La fanno i mass media, i persuasori occulti o palesi, in una parola i buffoni, cioè una massa di persone interessate, superficiali ed ig*noranti non solo dei risultati conseguiti, ma anche e soprattutto non interessate ai risultati teorici da conseguire, ma di solito solo ed esclusivamente al risultato del proprio interesse personale.
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Ne deriva una vera e propria torre di Babele in cui ciascuno e ciascun settore procede svincolato dagli altri, ma anche e soprattutto dalla realtà, perché la realtà è sì composita, ma anche unitaria. L'organizzazione delle formiche o dei voli migratori delle rondini potrebbe, in ipotesi, contribuire a spiegare fenomeni non biologici, ma fisici, chimici, astronomici o addirittura etici... Occorrerebbe  una mentalità (e una vera e propria disciplina teorica universitaria) in grado di compiere due funzioni: primo, ruminare i risultati delle specializzazioni rendendoli comprensibili a tutti, in un'opera divulgativa non estemporanea o tesa solo a stupire o a informare, ma a rendere il tutto "commestibile" a tutti, compresi i luminari delle altre discipline; secondo, analizzare i dati e vedere come essi si possono combinare nell'insieme, in una sorta di "gioco delle perle di vetro" alla Hesse.
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Perfettamente d'accordo. E' folle a mio avviso pensare di potere giungere alla meta facendo uso solo di alcuni dei mezzi a nostra disposizione. Per provare a capirci qualcosa, dobbiamo viceversa fare uso di TUTTE le nostre possibilità, cioè sia della percezione e dell'intuito, sia della ragione, intesa quest'ultima sia in senso filosofico, sia nel senso specifico del metodo scientifico e della massima attenzione alle sue risultanze.
     Mai come in questo periodo, invece, sussiste una specializzazione delle conoscenze, degli interessi e delle competenze che conduce alla creazione di compartimenti stagni tra le più svariate specializzazioni dell'indagare, dell'essere e del sapere. Spesso, oltretutto, ciascuna disciplina o anche solo interesse settoriale si avvale di gerghi specializzatissimi che ne rendono incomprensibili non solo le risultanze, ma anche solo i tentativi di acquisirle, a chi non sia profondamente iniziato nel gergo stesso.
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Credo possa darsi per acquisito il limite intrinseco della razionalità che, specie ove percorra i tortuosi sentieri della logica verbale, si avviluppa su se stessa allorché si ponga quesiti frutto di inganni cognitivi.
In altri termini se si giunge, percettivamente, alla concezione di un primigenio Creatore o, più laicamente, ad una cerebrale idea di infinito, viene forse meno il senso di interrogativi ricorsivi.
Un conto e', a parer mio, l'anelito al miglioramento continuo soggettivo e collettivo (per non dire universale), alla progressiva accumulazione ed assorbimento di nuove scoperte, esito di seri approcci metodologico-scintifici, un altro e' l'asintotico raggiungimento di infinita conoscenza, percorso lungo il quale la razionalità deve cedere il passo, per dirla con Giuseppe, a percettività, sensibilità, volontà e, aggiungo, intenzione.
I due piani, quello della razionalità e dell'intelligenza emotiva, sintesi del cocktail di elementi citato, pur rimanendo distinti, si intersecano ricorrentemente in multiformi "nodi di vibrazione" che pongono l'Uomo di fronte ad interrogativi e scelte.

Troppi rappresentanti del genere umano in prossimità di tali congiunture, a metà fra il metafisico e lo spazio-temporale, vittime del proprio temperamento, limiti culturali (il sottoscritto in primis), necessità di certezze, privazioni forzose o auto indotte di tempo ed energie, optano per la rinuncia ad una indagine a tutto campo, non riuscendo nell'impresa di valicare i confini delle proprie consolatorie abitudini, finendo per consolidare, nel proprio sentire, la contrapposizione fra scienza e fede (intesa come qualunque credo conduca ad una marcata percezione dell'infinito).

Nella mia visione, ossequiosa dell'autonomia delle rispettive funzioni, e' proprio il superamento di questa solo apparente antinomia la strada che l'umanità dovrebbe percorrere per avvicinarsi ad una conoscenza non sbilanciata e perciò più completa.

E con ciò non mi illudo certo di aver detto una parola definitiva su un argomento di così vasta portata.
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Il "sapere di non sapere", caro Giuseppe, più che un obiettivo da raggiungere costituisce una delle mie pochissime certezze. Il che, a differenza di Socrate e di qualche altro, non mi fa tuttavia sentire su un piano di maggior saggezza. La speranza invece è quella di apprendere giornalmente qualcosa in più, fatta salva la mia memoria, da tempo in stato degenerativo, attraverso anche solo spunti alla riflessione che il tuoi commenti, come quelli di altri (talora più di quelli di altri) assicurano.

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