Scritto da: Marco Di Pietro

Joe Cappara


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Tra i suoi travertini rasi dal vento, conche di terra bruna offrivano il giusto a suffrutici e bassi cardi alati e vi passai con ritmo lento. Ad offrire umidità alle radici di un cisto, l'apertura funerea di un'antica Grecia meravigliò il mio sguardo; poi un'altra, poco dopo, con una pietra a mo' di ceppo silente come ornamento della remota sepoltura. Mi soffermai in questa breve piana, tra arbusti sempreverdi che più in là piegavano in dirupo e l'odore del mare; sentii le mie calzature di plastica così lontane ed interposte, a momenti, ad impedirmi il vero, ma non potei toglierle.
Continuai un sentiero ben battuto che percorreva lo scosceso agevolmente, fino ad una china più dolce ed ombreggiata da querce e corbezzoli, un quieto spiazzo la cui strana sensazione della possibilità di un oltre m'intimorì non poco. Nel mezzo, un alveo secco di ciottoli consumati che seguii con passo incerto, come a non voler disturbare il posto; dove l'antico ruscello s'affinò in un gretto accidentato tra pareti scavate, mi recai ancora più cauto sullo sfrido pietroso, aiutandomi con le mani, fino ad una roccia liscia in ombra sulla quali mi riposai. Così riuscii a vedere, e fu tonfo d'animo, ruote,... [segue »]

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