Autoritratto

Disappetente di vita per indigesti anni
da tempo non mi affratello
che con fedeli vaneggiamenti,
di ideali donne e amori illuso
a vanvera ciancio e ne sconto inganno,
luce e tenebra più non mi riguardano;
assaggio di tripudi non corteggio
per i mali dell'animo; a rimedi non credo.
Perduti volti e cuori amici, ricordi
talvolta passeggia la memoria
per poi addurli a tenermi compagnia.
Pressurizzati nella mente
bollono devitalizzano e svaniscono
fasci di pensieri dal giorno rastrellati;
sprovvisto di attributi, non visto vivo.
E pensare che una volta scoppiettavo di vita
e su una pila di illusioni sfioravo il cielo!
Pregno di pestilenze surgelanti
in un recinto di solitudine
tristezze svago o intreccio
e ivi mai vi transita anima viva.
Quando pur rimosse fossero le transenne
del mio chiuso cosa mai potrei rispondere
al passante che chiedesse
i connotati del mio esistere,
chi mi riconoscerebbe vivente?
Deformato da inferti silenzi
quale stampo potrebbe contenermi
ridarmi forma: tanto sfigurato
come potrei somigliare a un uomo!
Al meglio, mi figurerei
come una goccia d'olio combusto
sospesa su uno specchio d'acqua pura
che sasso o piombo aspira divenire
per non insultare un raggio di sole
e offenderne luce e tepore.
Sconfessando cattedratici opinionisti
che di eternità si sostentano
senza contravviso penso che non si duri
che lo spazio di un frangente:
il buio il vuoto e il niente
terrifichi sigilli verranno apposti
sulla porta chiusa del destino
e non vi è sortilegio o rispolverata teologia che un giorno giunga a rimuoverli.
Per quanto abile e onnipotente
pur se riprodurmi volesse un Creatore
come poi ripetermi potrebbe!

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