Le migliori poesie di Fernando Pessoa

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Scritta da: Elisa Iacobellis

Ho pena delle stelle

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso...

Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?
Fernando Pessoa
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Furtiva mano di un fantasma occulto

    Furtiva mano di un fantasma occulto
    fra le pieghe del buio e del torpore
    mi scuote, e io mi sveglio, ma nel cuore
    notturno non trovo gesto o volto.

    Un antico terrore, che insepolto
    porto nel petto, come da un trono
    scende sopra di me senza perdono,
    mi fa suo servo senza cenno o insulto.

    E sento la mia vita di repente
    legata con un filo di Incosciente
    a ignota mano diretta nell'ignoto.

    Sento che niente sono, se non l'ombra
    Di un volto imperscrutabile nell'ombra:
    e per assenza esisto, come il vuoto.
    Fernando Pessoa
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      Scritta da: Desafinado64

      Oiço, como se o cheiro

      Oiço, como se o cheiro
      De flores me acordasse...
      È música — um canteiro
      De influência e disfarce.

      Impalpável lembrança,
      Sorriso de ninguém,
      Com aquela esperança
      Que nem esperança tem...

      Que importa, se sentir
      È não se conhecer?
      Oiço, e sinto sorrir
      O que em mim nada quer.

      Odo, come se il profumo
      Di fiori mi svegliasse...
      È musica — un aiuola
      Di influenza e finzione.

      Impalpabile ricordo,
      Sorriso di nessuno,
      Con quella speranza
      Che neanche ha speranza...

      Che importa, se sentire
      È non conoscersi?
      Odo, e sento sorridere
      Quel che in me niente vuole.
      Fernando Pessoa
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        Scritta da: Eclissi

        Ode alla notte

        Vieni, Notte antichissima e identica,
        Notte Regina nata detronizzata,
        Notte internamente uguale al silenzio, Notte
        con le stelle, lustrini rapidi
        sul tuo vestito frangiato di Infinito.

        Vieni vagamente,
        vieni lievemente,
        vieni sola, solenne, con le mani cadute
        lungo i fianchi, vieni
        e porta i lontani monti a ridosso degli alberi vicini,
        fondi in un campo tuo tutti i campi che vedo,
        fai della montagna un solo blocco del tuo corpo,
        cancella in essa tutte le differenze che vedo da lontano di giorno,
        tutte le strade che la salgono,
        tutti i vari alberi che la fanno verde scuro in lontananza,

        tutte le case bianche che fumano fra gli alberi
        e lascia solo una luce, un'altra luce e un'altra ancora,
        nella distanza imprecisa e vagamente perturbatrice,
        nella distanza subitamente impossibile da percorrere.

        Nostra Signora
        delle cose impossibili che cerchiamo invano,
        dei sogni che ci visitano al crepuscolo, alla finestra,
        dei propositi che ci accarezzano
        sulle ampie terrazze degli alberghi cosmopoliti sul mare,
        al suono europeo delle musiche e delle voci lontane e vicine,
        e che ci dolgono perché sappiamo che mai li realizzeremo.

        Vieni e cullaci,
        vieni e consolaci,
        baciaci silenziosamente sulla fronte,
        cosi lievemente sulla fronte che non ci accorgiamo d'essere baciati
        se non per una differenza nell'anima
        e un vago singulto che parte misericordiosamente
        dall'antichissimo di noi
        laddove hanno radici quegli alberi di meraviglia
        i cui frutti sono i sogni che culliamo e amiamo,
        perché li sappiamo senza relazione con ciò che ci può
        essere nella vita.

        Vieni solennissima,
        solennissima e colma
        di una nascosta voglia di singhiozzare,
        forse perché grande è l'anima e piccola è la vita,
        e non tutti i gesti possono uscire dal nostro corpo,
        e arriviamo solo fin dove arriva il nostro braccio
        e vediamo solo fin dove vede il nostro sguardo.

        Vieni, dolorosa,
        Mater Dolorosa delle Angosce dei Timidi,
        Turris Eburnea delle Tristezze dei Disprezzati,
        fresca mano sulla fronte febbricitante degli Umili,
        sapore d'acqua di fonte sulle labbra riarse degli Stanchi.

        Vieni, dal fondo
        dell'orizzonte livido,
        vieni e strappami
        dal suolo dell'angustia in cui io vegeto,
        dal suolo di inquietudine e vita-di-troppo e false sensazioni
        dal quale naturalmente sono spuntato.

        Coglimi dal mio suolo, margherita trascurata,
        e fra erbe alte margherita ombreggiata,
        petalo per petalo leggi in me non so quale destino
        e sfogliami per il tuo piacere,
        per il tuo piacere silenzioso e fresco.

        Un petalo di me lancialo verso il Nord,
        dove sorgono le città di oggi il cui rumore ho amato come un corpo.
        Un altro petalo di me lancialo verso il Sud
        dove sono i mari e le avventure che si sognano.

        Un altro petalo verso Occidente,
        dove brucia incandescente tutto ciò che forse è il futuro,
        e ci sono rumori di grandi macchine e grandi deserti rocciosi
        dove le anime inselvatichiscono e la morale non arriva.

        E l'altro, gli altri, tutti gli altri petali
        – oh occulto rintocco di campane a martello nella mia anima! –
        affidali all'Oriente,
        l'Oriente da cui viene tutto, il giorno e la fede,
        l'Oriente pomposo e fanatico e caldo,
        l'Oriente eccessivo che io non vedrò mai,
        l'Oriente buddhista, bramanico, scintoista,
        l'Oriente che è tutto quanto noi non abbiamo,
        tutto quanto noi non siamo,
        l'Oriente dove – chissà – forse ancor oggi vive Cristo,
        dove forse Dio esiste corporalmente imperando su tutto...

        Vieni sopra i mari,
        sopra i mari maggiori,
        sopra il mare dagli orizzonti incerti,
        vieni e passa la mano sul suo dorso ferino,
        e calmalo misteriosamente,
        o domatrice ipnotica delle cose brulicanti!

        Vieni, premurosa,
        vieni, materna,
        in punta di piedi, infermiera antichissima che ti sedesti
        al capezzale degli dei delle fedi ormai perdute,
        e che vedesti nascere Geova e Giove,
        e sorridesti perché per te tutto è falso, salvo la tenebra e il silenzio,
        e il grande Spazio Misterioso al di la di essi... Vieni, Notte silenziosa ed estatica,
        avvolgi nel tuo mantello leggero
        il mio cuore... Serenamente, come una brezza nella sera lenta,
        tranquillamente, come un gesto materno che rassicura,
        con le stelle che brillano (o Travestita dell'Oltre!),
        polvere di oro sui tuoi capelli neri,
        e la luna calante, maschera misteriosa sul tuo volto.

        Tutti i suoni suonano in un altro modo quando tu giungi
        Quando tu entri ogni voce si abbassa
        Nessuno ti vede entrare
        Nessuno si accorge di quando sei entrata,
        se non all'improvviso, nel vedere che tutto si raccoglie,
        che tutto perde i contorni e i colori,
        e che nel cielo alto, ancora chiaramente azzurro e bianco all'orizzonte,
        già falce nitida, o circolo giallastro, o mero diffuso biancore, la luna comincia il suo giorno.
        Fernando Pessoa
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          Scritta da: Alfio C.
          Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
          L'ampia marea, la marea ansiosa. È l'eco di un'altra marea che sta laddove è reale il mondo che esiste.
          Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
          La notte fredda, il passare del vento sono ombre di mani i cui gesti sonol'illusione madre di questa illusione.
          Fernando Pessoa
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            Scritta da: Eclissi
            Il mio sguardo è nitido come un girasole.
            Ho l'abitudine di camminare per le strade
            guardando a destra e a sinistra
            e talvolta guardando dietro di me...
            E ciò che vedo a ogni momento
            è ciò che non avevo mai visto prima,
            e so accorgermene molto bene.
            So avere lo stupore essenziale
            che avrebbe un bambino se, nel nascere,
            si accorgesse che è nato davvero...
            Mi sento nascere a ogni momento
            per l'eterna novità del Mondo...

            Credo al mondo come a una margherita,
            perché lo vedo. Ma non penso ad esso,
            perché pensare è non capire...
            Il Mondo non si è fatto perché noi pensiamo a lui,
            (pensare è un'infermità degli occhi)
            ma per guardarlo ed essere in armonia con esso...

            Io non ho filosofia: ho sensi.
            Se parlo della Natura, non è perché sappia ciò che è,
            ma perché l'amo, e l'amo per questo
            perché chi ama non sa mai quello che ama,
            né sa perché ama, né cosa sia amare...

            Amare è l'eterna innocenza,
            e l'unica innocenza è non pensare...
            Fernando Pessoa
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