Poesie di Charles Bukowski

Poeta e scrittore, nato lunedì 16 agosto 1920 a Andernach (Germania), morto mercoledì 9 marzo 1994 a San Pedro, Los Angeles, California (USA - Stati Uniti d'America)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi, in Umorismo, in Racconti, in Frasi per ogni occasione e in Diario.

Scritta da: sagea

Splash

L'illusione è che tu semplicemente
Stia leggendo questa poesia.
La realtà è che questa è
più di una poesia.
Questo è il coltello
Di un accattone.
È un tulipano
È un soldato che marcia
Attraverso Madrid.
Questo sei tu
Sul tuo letto di morte.
Questo è Li Po che ride
Questo è il circo
del diavolo.
E non la stai leggendo
Su una pagina
Sottoterra.
No, non è una dannata
Poesia.
È un cavallo
che dorme.
Una farfalla dentro
Il tuo cervello.
È la pagina che legge
Te.
La senti?
È come un cobra.
È un aquila affamata
che sorvola la stanza.
Questa non è una poesia
La poesia è barbosa,
ti fa venire sonno.
Queste parole ti incitano
a una nuova
follia.
Ti ha toccato la grazia,
sei stato spinto
dentro un abbacinante
regione di luce.
Adesso l'elefante
Sogna insieme
a te.
La volta dello spazio
curva e ride.
Adesso puoi morire
Tu puoi morire adesso come
Si doveva morire da uomini:
grande,
vittorioso,
con l'orecchio della musica,
essendo tu la musica,
che romba,
romba,
romba.
Charles Bukowski
Composta lunedì 18 luglio 2011
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: mor-joy

    Anormale

    Quando facevo le elementari
    il maestro ci raccontò la storia
    di un marinaio
    che disse al capitano:
    "La bandiera? Spero di non
    vederla più, la bandiera!"
    "Molto bene," gli fu risposto,
    "il tuo desiderio
    sarà esaudito!"
    E lo chiusero nella
    stiva
    e ce lo tennero,
    mandandogli cibo
    di sotto
    e morì laggiù
    senza vederla mai più
    la bandiera.

    Una storia davvero spaventosa
    per dei bambini,
    molto
    efficace.
    Ma non efficace
    abbastanza per
    me.
    Stavo lì seduto a pensare,
    bene, è brutto
    non vedere la
    bandiera,
    ma il bello è
    non dover vedere
    la gente.
    Però
    non alzai la mano
    per dir niente del genere.
    Sarebbe stato ammettere
    che non volevo vedere
    neppure loro.
    Ed era vero.

    Guardavo dritto alla
    lavagna
    che sembrava migliore
    di chiunque.
    Charles Bukowski
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: mor-joy

      Sii gentile

      Ci viene sempre chiesto
      di comprendere l'altrui
      punto di vista
      non importa quanto sia
      antiquato
      stupido o
      disgustoso.

      Uno dovrebbe
      guardare
      agli errori degli altri
      e alle loro vite sprecate
      con
      gentilezza,
      specialmente se si tratta di
      anziani.

      Ma l'età è la somma
      delle nostre azioni.
      Sono invecchiati
      malamente
      perché hanno
      vissuto
      senza mettere mai a fuoco,
      hanno rifiutato di
      vedere.

      Non è colpa loro?
      Di chi è la colpa?
      Mia?

      A me si chiede di mascherare
      il mio punto di vista
      agli altri
      per paura della loro
      paura.

      L'età non è un crimine
      ma l'infamia
      di un'esistenza
      deliberatamente
      sprecata
      in mezzo a tante
      esistenze
      deliberatamente
      sprecate lo è.
      Charles Bukowski
      Vota la poesia: Commenta

        Uomo e donna a letto alle 10 pomeridiane

        Mi sento come una scatola di sardine, disse lei.
        Mi sento come un cerotto, dissi io.
        Mi sento come un panino al tonno, disse lei.
        Mi sento come un pomodoro a fette, dissi io.
        Mi sento come se stesse per piovere, disse lei.
        Mi sento come se l'orologio s'è fermato, dissi io.
        Mi sento come se la porta fosse aperta, disse lei.
        Mi sento come se stesse per entrare un elefante, dissi io.
        Mi sento che dovremmo pagare l'affitto, disse lei.
        Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.

        Non me la sento di lavorare, dissi.

        Mi sento che di me non te me ne importa, disse lei.
        Mi sento che dovremmo far l'amore, dissi io.
        Mi sento che l'amore l'abbiamo fatto fìn troppo, disse lei.
        Mi sento che dovremmo farlo più spesso, dissi io.
        Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.
        Mi sento che dovresti trovare lavoro, dissi io.
        Mi sento una gran voglia di bere, disse lei.
        Mi sento come una bottiglia di whisky, dissi io.
        Mi sento che finiremo come due ubriaconi, disse lei.
        Mi sento che hai ragione, dissi io.
        Mi sento di mollare tutto, disse lei.
        Mi sento che ho bisogno d'un bagno, dissi io.
        Anch'io mi sento che hai bisogno d'un bagno, disse lei.
        Mi sento che dovresti lavarmi la schiena, dissi io.
        Mi sento che tu non mi ami, disse lei.
        Mi sento che ti amo, dissi io.
        Mi sento quel coso dentro adesso, disse lei.
        Anch'io sento che adesso quel coso è dentro di te, dissi io.
        Mi sento che adesso ti amo, disse lei.
        Mi sento che ti amo più di te, dissi io.
        Mi sento benone, disse lei, ho voglia di urlare.
        Mi sento che non la smetterei più, dissi io.
        Mi sento che ne saresti capace, disse lei.
        Mi sento, dissi io.
        Mi sento, disse lei.
        Charles Bukowski
        Vota la poesia: Commenta

          Pioggia

          Un'orchestra sinfonica.
          Scoppia un temporale,
          stanno suonando un'ouverture di Wagner
          la gente lascia i posti sotto gli alberi
          e si precipita nel padiglione
          le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi,
          sigarette bagnate che si buttano via,
          Wagner continua a suonare, e poi sono tutti
          al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi
          ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia
          Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda,
          un uomo seduto sotto la pioggia
          in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano
          a guardare. L'orchestra bada agli affari
          suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia,
          in ascolto. Deve avere qualcosa che non va,
          no?
          È venuto a sentire
          la musica.
          Charles Bukowski
          Vota la poesia: Commenta

            Partita a scopa

            Una delle cose più terribili è
            davvero
            stare a letto
            una notte dopo l'altra
            con una donna che non hai più voglia
            di scopare.

            Invecchiano, non sono più tanto
            belle – tendono persino
            a russare, buttarsi
            giù.

            Così, a letto, a volte ti giri,
            il tuo piede tocca il suo –
            Dio, che orrore! –
            e la notte è là fuori
            dietro le tendine
            e insieme vi suggella
            nella
            tomba.

            E la mattina vai in bagno,
            parli, attraversi il corridoio,
            dici strane cose; le uova friggono,
            partono i motori.

            Ma seduti l'uno di fronte all'altro
            hai 2 estranei
            che si ficcano in bocca il pane tostato
            che si bruciano col caffè bollente la gola risentita
            e l'intestino.

            In dieci milioni di case americane
            è lo stesso –
            vite stantie appoggiate
            l'una all'altra
            e nessun posto
            dove andare.

            Sali in macchina
            e vai a lavorare
            e là ci sono degli altri sconosciuti, quasi tutti
            mogli e mariti di qualcun altro,
            e oltre alla ghigliottina del lavoro,
            flirtano, scherzano r si danno pizzicotti,
            tendendo qualche volta
            a farsi in qualche posto una rapida scopata –
            a casa non possono farlo –
            e poi
            tornano a casa
            ad aspettare il Natale o il Labor Day
            o la domenica
            o qualcosa.
            Charles Bukowski
            Vota la poesia: Commenta

              Vivere

              Voglio dire, dormivo soltanto
              mi svegliai con una mosca sul gomito e
              chiamai la mosca Benny
              poi l'uccisi
              e poi m'alzai per guardare
              nella cassetta della posta
              e c'era una specie di avviso
              del governo
              ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli
              con la baionetta
              lo stracciai
              e tornai a letto a guardare il soffitto
              e pensai: questo mi piace proprio,
              voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti
              e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti
              e pensai:
              è assurdo, ho tante cose da fare
              ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra
              mezz'ora
              e mi stirai
              mi stirai
              e guardai il sole tra le foglioline di un albero
              fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi,
              non mi vennero pensieri immortali,
              e quello fu il momento migliore
              e cominciò a far caldo
              e buttai via le coperte e dormii -
              ma un sogno maledetto:
              ero ancora sul treno
              per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino
              all'ippodromo,
              seduto accanto al finestrino,
              davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava
              bizzarrie nel fondo del cervello,
              e poi qualcuno sedette accanto a me
              e parlò di cavalli
              una naftalina di parole che mi sventrarono
              come la morte, e poi ero là
              di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista
              su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso
              e non contava chi vinse
              alla fine e tutti lo sapevano,
              il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso
              della realtà:
              neri pesi di notte tutt'intorno
              alle stesse montagne vergognose
              d'essere là, e ancora il mare, ancora
              il treno come un gallo che passa la cruna
              d'un ago
              e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto
              e non avevo voglia di andare al gabinetto
              perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta
              nel cesso, ingorgandolo di nuovo,
              e quando tornai fuori
              nessuno aveva altro da fare che guardare
              la mia faccia
              e io sono così stanco
              che lo sanno quando mi guardano in faccia
              che li
              odio
              e allora odiano me
              e vorrebbero ammazzarmi
              ma non lo fanno.
              Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno
              vicino al letto
              per dirmi che
              sbagliavo
              dormii ancora
              un po'.
              Questa volta quando mi svegliai
              era quasi
              sera. La gente tornava dal lavoro.
              Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli.
              Non avevano una gran bella cera.
              Anche le ragazzine non erano così attraenti come
              quando erano partite.
              E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori,
              l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi
              di qualunque mascherone mai ideato.

              Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi
              con la scopa.

              Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi
              di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola
              con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.

              Stavo bene.
              Poi feci un bagno e tornai
              a letto.
              Charles Bukowski
              Vota la poesia: Commenta

                I lavoratori

                Ridono continuamente
                anche quando
                un'asse piomba giù
                e rovina una faccia
                o deforma
                un corpo
                loro continuano a ridere,
                quando il colore dell'occhio
                impallidisce da far paura
                per via della poca
                luce
                ridono ancora;
                rugosi e rimbecilliti
                ancora giovani
                ci scherzano sopra:
                un uomo che dimostra sessant'anni
                dirà
                ne ho 32, e
                allora rideranno tutti;
                qualche volta li fanno
                uscire per una boccata d'aria
                ma sono incatenati a ritornare
                da catene, che non
                spezzerebbero
                anche se potessero;
                anche fuori, tra
                gli uomini liberi,
                continuano a ridere,
                girano qua e là
                con un passo zoppicante
                e inane
                quasi non fossero più lì
                con la testa; fuori
                masticano un tozzo di pane,
                tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi,
                guardano l'orologio
                e sono di ritorno;
                qualche volta nei confini
                addirittura si fanno seri
                un momento, parlano di
                Fuori, di come deve essere
                orribile,
                essere
                chiusi Fuori
                per sempre, e non essere mai più
                riammessi;
                fa caldo mentre lavorano
                e sudano
                un po',
                ma lavorano sodo e bene,
                lavorano così sodo
                che i nervi si ribellano
                e lì fanno tremare,
                ma spesso sono
                elogiati da quelli
                che tra loro si sono
                innalzati
                come stelle,
                e ora le stelle
                vigilano
                vigilano anche
                per quei pochi
                che potrebbero tentare
                un ritmo più lento
                o mostrare disinteresse
                o simulare
                una malattia
                per avere un po'
                di riposo (il riposo deve essere
                guadagnato per raccogliere le forze
                destinate ad un lavoro
                più perfetto).

                Qualche volta uno muore
                o impazzisce
                e allora da Fuori
                ne arriva uno nuovo
                per sfruttare la sua
                grande occasione.

                Io ci sono stato
                molti anni;
                in principio trovavo il lavoro
                monotono, stupido
                addirittura
                ma ora vedo
                che tutto ha un senso,
                e i lavoratori
                senza volto
                vedo bene che non sono proprio
                brutti, e che le teste
                senz'occhi –
                ora so che quegli occhi
                ci vedono
                e sono capaci
                di seguire il lavoro.
                Le donne che lavorano
                sono spesso le migliori,
                adattandosi con naturalezza,
                e con alcune
                ho amoreggiato nei momenti
                di riposo; in principio
                non sembravano molto diverse
                dalle scimmie
                ma poi
                grazie al mio spirito di osservazione
                mi son o reso conto
                che erano cose
                reali e vive
                come me.

                L'atra sera
                un vecchio lavoratore
                grigio e cieco,
                non più utile
                è stato mandato in pensione
                là Fuori.

                Discorso! Discorso!
                Abbiamo chiesto

                è stato
                un inferno, ha detto lui
                abbiamo riso
                tutti e 4000:
                aveva conservato il suo
                umorismo
                fino
                alla fine.
                Charles Bukowski
                Vota la poesia: Commenta

                  La tragedia delle foglie

                  Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
                  le piante in vaso gialle come grano;
                  la mia donna era sparita
                  e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
                  mi cingevano con la loro inutilità;
                  c'era ancora un bel sole, però,
                  e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
                  e senza pretese; ora quello che ci voleva
                  era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
                  sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
                  perché esiste, solo per questo;
                  sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
                  l'uomo che un tempo era stato giovane e,
                  così dicevano, geniale; ma
                  questa è la tragedia delle foglie,
                  le felci morte, le piante morte;
                  ed entrai in una sala buia
                  dove stava la padrona di casa
                  insultante e ultimativa,
                  mandandomi all'inferno,
                  mulinando i braccioni sudati
                  e strillando
                  strillando che voleva i soldi dell'affitto
                  perché il mondo ci aveva tradito
                  tutt'e due.
                  Charles Bukowski
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: mor-joy

                    Confessione

                    Aspettando la morte
                    come un gatto
                    che sta per saltare sul letto
                    mi dispiace così tanto per
                    mia moglie
                    lei vedrà questo
                    corpo
                    rigido e
                    bianco
                    lo scuoterà una volta, e poi
                    forse
                    ancora:
                    "Hank!"
                    Hank non
                    risponderà.
                    Non è la mia morte che
                    mi preoccupa, è lasciare
                    mia moglie con questa
                    pila di
                    niente.
                    Però vorrei che
                    lei sapesse
                    che tutte le notti
                    dormite
                    accanto a lei
                    anche le discussioni
                    inutili
                    erano sempre
                    cose splendide
                    e le più difficili
                    delle parole
                    che ho sempre avuto paura
                    a dire
                    ora possono essere
                    dette: "Ti amo".
                    Charles Bukowski
                    Vota la poesia: Commenta