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Fra il romanticismo e il nichilismo irrazionali degl'ultimi 3 film, Allen recuper'un equilibrio umorale che lo riconsegn'alla sua agrodolce ambivalenza. Nel tripudio critico per la classicità ritrovata (un comfort da poetica dell'eterno ritorno, punto fermo nei marasmi della vita cinematografica e non), le sparute stroncature di chi non sottoscrive quest'ottuagenaria arrendevolezza: "Allen par'aver rinunciato su virtualmente tutt'i fronti. S'è arreso ai venti dominanti unendosi al novero del socialmente conformista e soddisfatto di sé." Ossia piac'e non piace per l'identica ragione: "per l’immaginario rassicurante, in cui ci si sente com'a casa”. Guai a esigere altro, soprattutto in momenti storici come l'attuale. "Quarantasettesimo film firmato da Woody Allen, e non dite che fa sempre lo stesso film". "Remake d'un remake d'un remake dove cambia solo la location o gl'attori, ma i discorsi, il sarcasmo e l'ironia sono sempre gli stessi e sugli stessi argomenti". "C’è molto poco di memorabile nei personaggi e negl'eventi di 'Cafè Society', [...] eppure l’atmosfera data dalle luci sempre cangianti di Storaro, il soffice mond'al tramonto in cui sembrano sempre muoversi e quel senso di malinconia infuso dalla mess'in scena sono realmente indimenticabili". "Cinema come manovra di stile – di scrittura, di fotografia, di recitazione, di taglio e cucito – che non risolve nulla ma mette di buon umore, coinvolge con levità, è divertente, a tratti con vero pathos e vera bellezza. Non sembra un’ottima scelta per chi ha pretese ipercritiche, lo è per frequentar'un mondo e un autore che si ama poiché non ha idee al di fuori del proprio immaginario". Godibile se ci s'accontenta, noiosamente ripetitivo per chi os'ancora pretendere di più, di meglio, di nuovo.

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