La schiavitù europea fu un nuovo tipo di schiavitù che produsse la crisi delle forme del potere tradizionale basato sulla discendenza e sulla coesione comunitaria. Gli europei, infatti, non catturavano le proprie vittime: erano i capi locali che procuravano i prigionieri da vendere come schiavi. Questa particolare articolazione dei legami sociali africani (che smentisce ogni tesi sulla presunta uniformità del primitivismo) spiega la lunga durata del fenomeno schiavile. Dopo l'abolizione della tratta, infatti, la schiavitù in Africa rimane una realtà. Gli schiavi "da tratta" diventano gli schiavi "da capanna", onloso, nel linguaggio locale: onloso significa "nascere nella capanna" e sono di proprietà del capo locale che e alloggia, li nutre e concede loro una moglie. Lo schiavo si riproduce ed è costretto a prestazioni di lavoro. Questi schiavi che non possono più essere venduti vanno a costituire una riserva di forza lavoro per il nuovo sfruttamento del suolo africano all'interno di quello che con un'espressione fin troppo gentile è stato definito il "commercio lecito". Tuttavia, la tratta lascia il suo segno: questa nuova forma di schiavitù all'interno delle società africane non garantisce quei seppur minimi diritti che erano consuetudinari prima dell'arrivo degli europei, come l'accesso alla terra e alle risorse in genere.

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