Scritto da: Mariella Buscemi
A volte, siamo la nostra migliore compagnia. A volte, siamo la miglior mano che possa stringerci l'altra. L'occhio destro che guarda con contenimento l'altro occhio. La spalla sinistra ci fa appoggiare mentre scendono le nostre lacrime. Dentro ad una notte, la nostra notte, di cicale e civette, corteccia sul cuore incisa da punte di stilografiche intinte nell'inchiostro di memorie sacre che giocano a rincorrersi nel chiostro dell'anima immensa. Regredire. Protendere. Li conto tutti i miei passi, andirivieni di logiche illogiche, baci del passato, carezze accennate, occhi negli occhi, il tuo sguardo che devia dal mio, il mio che ti fissa la schiena. Soliloqui psicotici. Cuore zigano. Incenerisco come tabacco aspirato dalla bocca del tumulto nostalgico. Senza scarpe, a toccare l'umidità fradicia di pioggia pomeridiana che inonda le narici, violentandole con gli odori zuppi di questa terra. Espiare tra le ortiche, cibarmi di bacche, aggrovigliarmi tra le radici, ché salda sono in questa mia vita ed alle mie radici faccio ritorno dopo le nuvole di passaggio. Sono un arciere che punta alla luna, bella questa sera, disco gigante sfiorato dalla puntina di vecchie radio anni '60, con l'inconfondibile click che preannuncia la musica che presto si diffonderà, rendendosi complice di un invito a ballare nelle balere estive, sussurri come preghiere di vangeli profani, consumati, poi, in squallidi hotel... ché finisce tutto così. Sono già viandante che si ferma in osterie di fortuna alla ricerca d'occasioni di tradimento. Sono il mio stesso inganno, figlia di ricordi e gravida di sogni.

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