Scritto da: Andrea Manfrè

Al giocatore ungherese non toccare il cavallo


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...Danubio, e ammarava nella sala colma di silenzi di velluto dove si disputava il campionato mondiale di scacchi. L'ingresso di Barabás Ferenc liberò una ventata di prateria, come l'odore di cento cavalli lanciati al galoppo. Il maestro della steppa con la fissa equina scombinò le strategie, le aperture, le inchiodature, le infilate, le forchette, i gambetti e i barbieri di professionisti dall'esperienza decennale, così increduli e spiazzati da perdere tutte le partite, e non si trattava certo di Gyula l'oste, Imre il fattore, János il droghiere, che non avevano ancora capito la differenza tra un arrocco e uno stallo, ma si stavano applicando comunque. Ad un ungherese d'oltre Tibisco mai toccare i cavalli. Puoi minacciargli le torri, la regina e perfino il re, ma i cavalli mai. Di questo principio basilare Castelo Branco e Delgado e Gomes e vattelapesca, non tenne conto. L'azzimato campione di scacchi latinoamericano dal nome pazzesco -ai ricevimenti non riusciva mai ad ingoiare un boccone impegnato com'era a finire le presentazioni- aveva elaborato, sempre più magro ed affamato, uno stile flemmatico che implicava ad ogni mossa una lisciata ai capelli impomatati e un'esclamazione irriverente soffiata di soppiatto, di sicuro impatto sui nervi degli avversari, per tacere ... [segue »]

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