Scritta da: Pierluigi Camilli

Lo Stivale

Io non son della solita vacchetta,
né sono uno stival da contadino;
e se pajo tagliato coll'accetta,
chi lavorò non era un ciabattino:
mi fece a doppie suola e alla scudiera,
e per servir da bosco e da riviera.

Dalla coscia giù giù sino al tallone
sempre all'umido sto senza marcire;
son buono a caccia e per menar di sprone,
e molti ciuchi ve lo posson dire:
tacconato di solida impuntura,
ho l'orlo in cima, e in mezzo la costura.

Ma l'infilarmi poi non è sì facile,
né portar mi potrebbe ogni arfasatto;
anzi affatico e stroppio un piede gracile,
e alla gamba dei più son disadatto;
portarmi molto non poté nessuno,
m'hanno sempre portato a un po' per uno.

Io qui non vi farò la litania
di quei che fur di me desiderosi;
ma così qua e là per bizzarria
ne citerò soltanto i più famosi,
narrando come fui messo a soqquadro,
e poi come passai di ladro in ladro.

Parrà cosa incredibile: una volta,
non so come, da me presi il galoppo,
e corsi tutto il mondo a briglia sciolta;
ma camminar volendo un poco troppo,
l'equilibrio perduto, il proprio peso
in terra mi portò lungo e disteso.

Allora vi successe un parapiglia;
e gente d'ogni risma e d'ogni conio
pioveano di lontan le mille miglia,
per consiglio d'un Prete o del Demonio:
chi mi prese al gambale e chi alla fiocca,
gridandosi tra lor: bazza a chi tocca.
Volle il Prete, a dispetto della fede,
calzarmi coll'ajuto e da sé solo;
poi sentì che non fui fatto al suo piede,
e allora qua e là mi dette a nolo:
ora alle mani del primo occupante
mi lascia, e per lo più fa da tirante.

Tacca col Prete a picca e le calcagna
volea piantarci un bravazzon tedesco,
ma più volte scappare in Alemagna
lo vidi sul caval di San Francesco:
in seguito tornò; ci s'è spedato,
ma tutto fin a qui non m'ha infilato.

Per un secolo e più rimasto vuoto,
cinsi la gamba a un semplice mercante;
mi riunse costui, mi tenne in moto,
e seco mi portò fino in Levante, -
ruvido sì, ma non mancava un ette,
e di chiodi ferrato e di bullette.

Il mercante arricchì, credè decoro
darmi un po' più di garbo e d'apparenza:
ebbi lo sprone, ebbi la nappa d'oro,
ma un tanto scapitai di consistenza;
e gira gira, veggo in conclusione
che le prime bullette eran più buone.

In me non si vedea grinza né spacco,
quando giù di ponente un birichino
ea una galera mi saltò sul tacco,
e si provò a ficcare anco il zampino;
ma largo largo non vi stette mai,
anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.

Fra gli altri dilettanti oltramontani,
per infilarmi un certo re di picche
ci si messe cò piedi e colle mani;
ma poi rimase lì come berlicche,
quando un cappon, geloso del pollajo,
gli minacciò di fare il campanajo.

Da bottega a compir la mia rovina
saltò fuori in quel tempo, o giù di lì,
un certo professor di medicina,
che per camparmi sulla buccia, ordì
una tela di cabale e d'inganni
che fu tessuta poi per trecent'anni.

Mi lisciò, mi coprì di bagattelle,
e a forza d'ammollienti e d'impostura
tanto raspò, che mi strappò la pelle;
e chi dopo di lui mi prese in cura,
mi concia tuttavia colla ricetta
di quella scuola iniqua e maledetta.

Ballottato così di mano in mano,
da una fitta d'arpìe preso di mira,
ebbi a soffrire un Gallo e un Catalano
che si messero a fare a tira tira:
alfin fu Don Chisciotte il fortunato,
ma gli rimasi rotto e sbertucciato.

Chi m'ha veduto in piede a lui, mi dice
che lo Spagnolo mi portò malissimo:
m'insafardò di morchia e di vernice,
chiarissimo fui detto ed illustrissimo;
ma di sottecche adoperò la lima,
e mi lasciò più sbrendoli di prima.

A mezza gamba, di color vermiglio,
per segno di grandezza e per memoria,
m'era rimasto solamente un Giglio:
ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria,
ai Barbari lo diè, con questo patto
di farne una corona a un suo mulatto.

Da quel momento, ognuno in santa pace
la lesina menando e la tanaglia,
cascai dalla padella nella brace:
vicerè, birri, e simile canaglia
mi fecero angherie di nuova idea,
et diviserunt vestimenta, mea.

Così passato d'una in altra zampa
d'animalacci zotici e sversati,
venne a mancare in me la vecchia stampa
di quei piedi diritti e ben piantati,
cò quali, senza andar mai di traverso,
il gran giro compiei dell'universo.

Oh povero stivale! Ora confesso
che m'ha gabbato questa matta idea:
quand'era tempo d'andar da me stesso,
colle gambe degli altri andar volea;
ed oltre a ciò, la smania inopportuna
di mutar piede per mutar fortuna.

Lo sento e lo confesso; e nondimeno
mi trovo così tutto in isconquasso,
che par che sotto mi manchi il terreno
se mi provo ogni tanto a fare un passo;
ché a forza di lasciarmi malmenare,
ho persa l'abitudine d'andare.

Ma il più gran male me l'han fatto i Preti,
razza maligna e senza discrezione;
e l'ho con certi grulli di poeti,
che in oggi si son dati al bacchettone:
non c'è Cristo che tenga, i Decretali
vietano ai Preti di portar stivali.

E intanto eccomi qui roso e negletto,
sbrancicato da tutti, e tutto mota;
e qualche gamba da gran tempo aspetto
che mi levi di grinze e che mi scuota;
non tedesca, s'intende, né francese,
ma una gamba vorrei del mio paese.

Una già n'assaggiai d'un certo Sere,
che se non mi faceva il vagabondo,
in me potea vantar di possedere
il più forte stival del Mappamondo:
ah! Una nevata in quelle corse strambe
a mezza strada gli gelò le gambe.

Rifatto allora sulle vecchie forme
e riportato allo scorticatojo,
se fui di peso e di valore enorme,
mi resta a mala pena il primo cuojo;
e per tapparmi i buchi nuovi e vecchi
ci vuol altro che spago e piantastecchi.

La spesa è forte, e lunga è la fatica:
bisogna ricucir brano per brano;
ripulir le pillacchere; all'antica
piantar chiodi e bullette, e poi pian piano
ringambalar la polpa ed il tomajo:
ma per pietà badate al calzolaio!

E poi vedete un po': qua son turchino,
là rosso e bianco, e quassù giallo e nero;
insomma a toppe come un arlecchino;
se volete rimettermi davvero,
fatemi, con prudenza e con amore,
tutto d'un pezzo e tutto d'un colore.

Scavizzolate all'ultimo se v'è
un uomo purché sia, fuorché poltrone;
e se quando a costui mi trovo in piè,
si figurasse qualche buon padrone
di far con meco il solito mestiere,
lo piglieremo a calci nel sedere.
(Giuseppe Giusti)


La chiosa di Pierluigi

Seguendo il tuo consiglio l'hanno fatto:
han provato per centosettant'anni
a cercar di scoprire il piede adatto;
con alti e bassi han fatto altri danni;
ai Preti ora noi dobbiam sommare
chi d'Oltremare ci viene a provare!

E or caro Giuseppe, mio Maestro,
hanno la gamba pensato di trovare:
hanno creduto che col piede destro
di nuovo lui potesse camminare!
Il guaio è che nessuno ha mai badato
per quale piede l'hanno fabbricato!
(Pierluigi Camilli)
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Pierluigi Camilli

    Ricorsi storici 1948, 1953,... 1994... 2008...?

    Canta Popolo mio, canta contento:
    è nata finalmente una Nazione
    colma di pregi e buona intenzione
    (che in verità ci fa un po' spavento)!
    Le tasse, hanno detto, caleranno;
    le poste, gli ospedali e tutto il resto,
    tutto risolveranno molto presto;
    tutte le cose, poi, funzioneranno.
    Avevamo scordato'sta canzone,
    che alle nostre prime votazioni,
    ci prometteva ogni mascalzone!
    Ora che son passati sessant'anni,
    ritornano a parlar di promozioni,
    ripromettendo di annullar gli affanni!
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Pierluigi Camilli

      All'Amico Giggi

      Gì! Ho scoperto che la Poesia
      nun è fatta pè ggente che lavora;
      hai da capì: si manca l'armonia,
      è Pentecoste senza Cannelora!
      Ma come fai a scrive un ber sonetto,
      ricco de ghirigori e fantasia,
      si nun stai sdraiato sopr'ar letto
      o nun te trovi a beve a l'osteria?
      Come lo poi fa, accovacciato
      a risorve un probbrema de lavoro?
      La Poesia è pè lo sfaticato:
      va fatta quanno stai senza fa gnente;
      noantri così, appetto a loro,
      scrivemo in rima: l'armonia è assente!
      E parlanno de peste e de dolori,
      de morte bianca, disastri naturali,
      nun sai quanti ne trovi de Cantori
      che ce scriveno sopra madrigali?
      Quanno che diossina e inquinamento
      ammazzeno duemila e più perzone,
      er Poeta che cià temperamento
      te ce ricama intorno'na canzone!
      Li zampilli de sangue, pianti e strilli,
      diventeno li canti de sirene...
      È forse er fatto d'esse alquanto brilli
      quanno scriveno "armonica poesia":
      le fabbriche saranno cose amene
      e tutto è come ritmo e armonia!
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Pierluigi Camilli

        Bona Pasqua

        Vorei potello dì senza paura
        d'esse banale e senza sentimento;
        ch'ogni perzona vorrei fosse sicura
        de fa cascà ogni risentimento;
        vorei'na Pasqua che davero fusse
        che se ne parla da duemila anni:
        che fusse senza fisime discusse,
        che ciann'indotto sempre a creà danni!
        Nun dovremmo celebrà solo er Passaggio,
        ma er Pascolo sereno e primordiale
        che è mancato a'gni Animale!
        E basterebbe un poco de Coraggio
        unito ar Bonsenso generale.
        È la mia Vera Pasqua augurale!

        Pierluigi Camill.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Pierluigi Camilli

          La Morte parallela

          La Morte, ha detto un artista,
          è'na livella!
          Bensì sia vero, rattrista
          quanno la tua rotella,
          se ferma all'indice esatto,
          ch'hai sempre pensato, distratto,
          d'avecce più tempo, più giri...
          E quanno te tócca sospiri!
          L'unica consolazione,
          si come me più nun sai
          sfogatte cò'n'orazzione,
          che tanto nun ferma li guai,
          te metti a penzà a la sequela
          che Morte ci sta parallela:
          cioè questa mort'è posticcia
          e doppo un po' d'anni,
          se sa s'ariciccia.
          Così s'arimore de novo
          da Morte e rifai er turnovo!
          Er tempo che tu sei stato
          già morto,
          te serve d'apprendistato
          pè quanno sarai risorto!
          Ma nun crede a na cosa leggera:
          stavorta le cosa è severa!
          Sia chiaro che quanno risorti
          nun sei lo stesso:
          dipenne da quello che porti
          e potresti rinasce più fesso!
          Purtroppo a me è capitato
          e rifaccio er futuro ar passato!
          Pè questo stò in disappunto
          quanno m'aritócca:
          già so du vorte che spunto
          senza cambià filastrocca.
          Stavolta, perciò, quann'ariva
          sarà la definitiva!
          Ah, 'mbè! Me so scordato
          de spiegamme:
          chi è ricicciato ddù vorte,
          nun po' più annà tanto lemme
          e devecambià certe svorte
          sinnò è ormai condannato:
          la prima a lo Stato hai rubato,
          invece la seconna
          chi lavora sempre hai sfuttato;
          la terza più feconna
          de fa politica hai penzato
          sei stato furbo e te sei sarvato!
          Ecco perché certa gente
          cambianno la faccia
          continua a fa impunemente
          sempre la stessa focaccia:
          perch'è furba e inteliggente
          e campa continuamente!

          Pierluigi Camilli.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Pierluigi Camilli

            Nun vojo più

            Nun vojo proprio scrive più a nissuno;
            non vojo scrive proprio un ber gnente;
            vojo lassa er cervello a digiuno;
            nun vojo più impicciamme de la gente!
            Nun vojo più penzà a chi fa male;
            nun vojo più vedè chi magna e spreca;
            nun vojo più parlà dell'ospedale;
            nun me ne frega, chiudo có'na greca!
            Vojo fa solo de la teoria
            sur male che se sente drent'ar petto;
            vojo parlà de que'la nostalgia,
            si penzi a quanno eri piccoletto!
            Da oggi, vojo dì un'eresia,
            nun me ne frega indò vado a letto!
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Pierluigi Camilli

              Vorei véde

              Vorei vede, ch'ancora nun ho visto,
              un'omo che davero abbi pazzienza
              da sopportà, in segno de sapienza,
              er suo vicino senza acciaccapisto.
              Vorei vede, ch'ancora nun ho visto,
              che chi cià tutto e nun j'amanca gnente,
              distribbuì quarcosa all'antra gente
              che pè campà s'appella ar gesucristo.
              Vorei vede, ch'ancora nun ho visto,
              quer Dio che tutti dicheno ch'è bbono,
              eppoi c'è l'odio verso er sanguemisto.
              Vorei vede, ch'ancora nun ho visto,
              quer deusomnium che dar proprio "trono"
              continua a crocefigge Gesucristo!
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Pierluigi Camilli

                La rosa finta

                La rosa che un giorno t'ho donato,
                l'ho rivista insieme a qualche fiore:
                nel rivederla sul tavolo, ho provato
                un tonfo di letizia dentro il core!
                Non l'hai buttato via il nostro fiore!?
                L'hai tenuto riposto: ma perché?
                Vuoi farmi capir che in te l'amore
                È ancora vivo, come lo è in me?
                La rosa che t'ho dato non è vera,
                ma è bella, forse più se mai lo fosse.
                Io t'ho dato una rosa finta,
                perché giammai doveva scomparir:
                infatti l'ho rivista, bella, linda,
                sul tavolino facendomi soffrir!
                Mi ha fatto male, sì, perché la rosa
                è rimasta nel tempo come era;
                l'amore tuo, effimero, è una cosa
                come te: rimasto m'è chimera!
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Pierluigi Camilli

                  Simile a un Dio

                  Simile a un Dio mi sembra quell'uomo
                  che siede davanti a te, e da vicino
                  ti ascolta mentre tu parli
                  con dolcezza
                  e con incanto sorridi. E questo
                  fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
                  Se appena ti vedo, sùbito non posso
                  più parlare:
                  la lingua si spezza: un fuoco
                  leggero sotto la pelle mi corre:
                  nulla vedo con gli occhi e le orecchie
                  mi rombano:
                  un sudore freddo mi pervade: un tremore
                  tutta mi scuote: sono più verde
                  dell'erba; e poco lontana mi sento
                  dall'essere morta.
                  Ma tutto si può sopportare...
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Pierluigi Camilli

                    A pasticca nova

                    Sappissi, Arià, jeri sa che hò léttu!
                    Che se l'ésse pututu lègge prima,
                    l'arrèmmo missu sopr'u giornaléttu
                    e guadagnèmmo'n'ara po' de stima!
                    Hò lettu ch'hau'nventata'na pasticca
                    che resana'e ruttuture de capoccia:
                    je refà l'ossa e quanno che je cricca,
                    'a llarga come fosse'na saccoccia!
                    Ce penzi sa che cósa grandiosa?
                    Ce penzi a'stu fattu quant'è bellu?
                    Ma quantu sarria più portentosa,
                    se rallargasse pure u cerevellu
                    a quella ggente sciapa e fastidiosa?
                    È'nsugnu che me faccio da monellu!
                    Vota la poesia: Commenta