Scritta da: Nello Maruca

L'indifferenza

Era d'inverno il dì che mi fu luce,
lungi il papà mio a servire il Duce
che portò guerra là, dov'era pace
con avidità d'uccello rapace;
In quella Terra D'Africa Orientale
che per l'italica gente fu fatale.
Era di venerdì l'infausto giorno,
lenta la campana dava il mezzogiorno,
poi, il vento sibilava acutamente
mentre la sera avanzava lentamente.
Di fulmini brillava il cupo cielo
e tutt'intorno era freddo e gelo.

Era carestia totale, la più profonda.
Indotta dalla circostanza immonda
per quella guerra sciagurata e dura
che cacciò la gioventù dalle sue mura.
In questo clima squallido e miserando
la vita mia s'incamminò arrancando.
Man mano che m'avanzava io negl'anni
piangere vedea mamma per gli affanni,
mentre mi carezzava il volto dolcemente
mi ripeteva, stanca, tristemente:
Nato sei in miseria e nell'inferno
chissà se pace avrai, tu, qualche giorno!

Era lo stato che da marmocchio vissi,
precari i giovanili anni pregressi,
e ora che m'affaccio all'età vetusta
anche la vecchiaia appare guasta.
Perché mi si domanda? È presto detto:
L'epoca cui viviamo l'uomo ha corrotto
per cui pur quelli che ti stanno in petto
di stima, pure loro, fanno difetto.
Così gli affetti che mi stanno a fronte
Pur'essi, mio sangue, sono indifferenti.
Degli altri se ne faccia un fascio solo:
tutti d'accordo, man lasciato solo.
Morrò con dolore dentro il cuore
per mancanza d'affetto e loro amore.

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