Alta sei donna mia turchese e bella ch'appari quale dal ciel discesa stella, lo guardo delicato è freccia in core che riempie di dolcezza e tant'amore.
Profumata sei qual rosa e giglio più ch'al mattino emana fior di tiglio, là, ove il passo posi ride la via inebriata di profumo delicata scia.
Sul dolce, sereno, splendido visino l'aspetto che raduni par divino, par che discendi da città remota, non già nata sull'umano pianeta.
D'umana razza tieni appartenenza Indi pur d'essa tieni somiglianza; tuttavia diversa è ogni fattezza Per quanto stile e immensa tenerezza.
Solo mi sento e desolato pure dacché a mancare mi vennero le cure di quanti nutro affetto e amore puro e dall'or lo tempo m'è amaro e duro.
I vecchi affetti tutti in cor li tengo, spiritualmente tutti a me li stringo che se puranco, son fuggiti via parte son sempre della carne mia
Di mamma l'immago tengo avanti che mi consola per i tanti assenti; papà mi dice col sorriso mesto sii negl'affetti ognora vigile e lesto.
Ma anche stamane mi fui ancor deluso notando al fratel mio lo cuore chiuso giacché incontrato accennai un sorriso ma lui restassi fermo e tetro in viso.
Allor bruciommi il petto tutto quanto e mesto restommi e deluso alquanto poiché l'alma si ravvivò al tormento ed ogni speme persi in quel momento.
La voce mi venne dell'amata Mamma che muta sussurrommi flemma, flemma: non dare peso a quanto capitato, sia il fratello ch'ai da sempre amato.
È una serata cupa, lampi e tuoni; due nipotini dormono buoni, buoni. Stanno vicino l'uno all'altro stretto in quello che lor chiamano grande letto. Accanto v'è la nonna, tutt'amore, che per lor prega Iddio, nostro Signore.
Il vento ulula forte, un gran lamento, prendere sonno, quella notte, stento mentre il rumor dei tuoni di tanto in tanto riporta il pensier mio alla stanza accanto, a papà mio, a nonna Giovannina a mamma, a zia donna Esterina
al papà di mia moglie, alla mammina, alle sorelle lontane e alla vicina. Tutti in rassegna passo i miei parenti, ne conto tanti, cinque volte venti; gli occhi sono stanchi, lacrimanti così mi fermo senza andar più avanti.
Mi ritrovo, di botto, in un salone zeppo di sedie, tavoli e poltrone. Una ad una riempiono la stanza innumerevoli persone, in allegranza. Per prima accanto a me siede mia moglie, all'altro lato siedono due figlie
seguono di mia moglie e me le casate e a lunghe sopracciglia due antenate. Entra, po, a passo lento e cadenzato L'Arciprete Battista accompagnato da Ciccio maresciallo assai compìto nonché il fratello Giuseppe, l' erudito.
Con cinque germogli dal festante viso i miei figli maschi mi stanno a fronte, alla lor destra è giovane in sorriso e accosto di famiglia altro esponente. Sono i nipoti primi, alti e snelli c'hanno valor d' inestimabili gioielli,
segue la femminuccia dai neri capelli, occhi castani, luminosi e belli. Nella festante, gioiosa ricorrenza allieta la serata la presenza la discendenza dei tanti parenti. con allargata ceppi, lì presenti.
S'avvera il desiderio di tant'anni vissuti in sofferenza e negl'affanni di vedere presenti tutti quanti a cerchio radunati, esilaranti.
Finito il sonno s'azzera l'incanto E nello core rilacrima lo pianto. Giacché tutto vissuto ho nel sonno Che portato m'ha a far questo bel sogno.
Quest'oggi il nervosismo è culminato, per questo ogni fatica ho trascurato, dopo avere girovagato alquanto entro deluso nella stanza accanto.
Quel che quest'anno qui è capitato è avvenimento che va raccontato alfin che sappia chi ci ruota intorno della confusion che regna e del frastorno.
Abbia pietà di nuova circostanza e prenda dell'ambiente nuova coscienza onde non abbia lui ad adirarsi e non costringa altri a morsicarsi.
Approda, cheto cheto, a dirigenza uomo discreto dai capelli senza; non un mugugno mai, non una lagna, convive la miseria e si rassegna.
Al contrario, però, vive quest'io che pur con nostalgia, fuori d'astio mi contorcio, mugugno e pur mi lagno tanto che cancrena l'ho financo in sogno.
Guardo, lì, seduta a tavolino donna vestita d'abito di lino che al posto ci cercare d'operare dilettasi sulla sedia a dondolare.
Lumacone somiglia a movimenti: Lenta nel fare, lenta in spostamenti. Con il lavoro pare ci si culla, a fine giorno non conclude nulla.
Delle tante disgrazie è la più magna che capitata m'è tra nuca e collo, meglio se fosse assente alla bisogna ch'è personaggio di corto cervello.
L'è di coronamento buon compagno che in tela incagliato pare sia di ragno. Prende, pone, riprende e poi ripone, s'arrovella, si strugge e non compone.
Dai gesti, dal parlar, dal comportare i due al mio cervello fanno pensare: Bisognerebbe metterli in struttura ove potere offrir sicura cura.
Stanco di permanenza in sì squallido loco mestamente m'avvio allo stanzone donde mi par proviene una canzone; accanto alla finestra è uomo gelido
che al collo cinghia tiene penzoloni mentre reggesi con mano i pantaloni. M'accosto, al saluto mio risponde: Hai visto al monte che bell'alte onde?
Brillano gli occhi, tremano le mani; presto men vò dicendo: Addio, a domani. Nel corridoio restano tre, in crocchio, che prima mai incontrato avea mio occhio.
L'uno in altezza supera la norma e dall'aspetto parmi non sia in forma. Mi dà conferma, di mia impressione, al mio saluto, la truce espressione.
Dei rimanenti due uno s'inchina, l'altro lancia coriandoli e farina. In aria li sparpaglia e volan via mentre gl'astanti invocano Maria.
Sbigottito del far di quei signori accedo alla sala di lettura ove di doglianza carca e malumori trovo persona di scarsa cultura.
In serbo tiene solo sconoscenza, superbia, arroganza ed indignanza ** d'intemperanza tien comportamento e mostra di suo volto abbrutimento.
Delle manchevolezze mie non dico: Quello che faccio spesso lo modifico. Dico soltanto che non son quel ch'ero, mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.
Arricchito di sì tant'indigenza lesto men torno all'usuale permanenza convinto che l'ambiente mio disabile è, comunque, degli altri il più agibile.
Quando su prato il fiorellin germoglia e il sole di primavera scalda e accresce così, per te, l'amore mio arde e si pasce e ingigantisce di te più la mia voglia.
Il fiorellin che spoglio nasce su prato al sole che lo scalda, però, fa voto sciente che a carità è da ignoto così lo calor ch'il nutre lo fa grato.
Io t'ho dell'amor mio gratificato avendoti al core la porta schiuso e l'essere tutto mi resta confuso e pure un poco, ahimè, amareggiato.
Poiché lo foco ch'ò arde e consuma e ogni dì di più s'innalza e avanza purtuttavia non scuote tua coscienza e al grand'amore mio non si costuma.
L'amore m'ha invaso anima e corpo e gli occhi mi costringe a lungo pianto: Nemmanco tieni un poco di compianto e lasci incolto il rigoglioso orto.
Non fare che si trasformi a malasorte e cingi l'amor mio a forte abbraccio, non far che per un misero capriccio trasformi tant'ardore a triste sorte.