Le migliori poesie di Giovanni Pascoli

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Scritta da: Silvana Stremiz

Pioggia

Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi fra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusìo con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.
Giovanni Pascoli
dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il Pesco

    Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
    di vecchi morti; ove a dormir con essi
    niuno più scende; sempre chiuso; nero
    d'alti cipressi.
    Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
    di là dell'erto muro e delle porte
    ch'hanno obliato i cardini, si crede
    morta la Morte,
    anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
    sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
    vivo, dal muro sporgere un sottile
    ramo di pesco.
    Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
    sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
    Ed ora invidii i mandorli che indora
    l'alba negli orti?
    Od i cipressi, gracile e selvaggio,
    dimenticàti, col tuo riso allieti,
    tu trovatello in un eremitaggio
    d'anacoreti?
    Giovanni Pascoli
    dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Patria

      Sogno d'un dì d'estate.
      Quanto scampanellare
      tremulo di cicale!
      Stridule pel filare
      moveva il maestrale
      le foglie accartocciate.
      Scendea tra gli olmi il sole
      in fascie polverose;
      erano in ciel due sole
      nuvole, tenui, róse:
      due bianche spennellate
      in tutto il ciel turchino.
      Siepi di melograno,
      fratte di tamerice,
      il palpito lontano
      d'una trebbiatrice,
      l'angelus argentino...
      dov'ero? Le campane
      mi dissero dov'ero,
      piangendo, mentre un cane
      latrava al forestiero,
      che andava a capo chino.
      Giovanni Pascoli
      dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il mendico

        Presso il rudere un pezzente
        cena tra le due fontane:
        pane alterna egli col pane,
        volti gli occhi all'occidente.
        Fa un incanto nella mente:
        carne è fatto, ecco, l'un pane.
        Tra il gracchiare delle rane
        sciala il mago sapiente.
        Sorge e beve alle due fonti:
        chiara beve acqua nell'una,
        ma nell'altra un dolce vino.
        Giace e guarda: sopra i monti
        sparge il lume della luna;
        getta l'arti al ciel turchino,
        baldacchino
        di mirabile lavoro,
        ch'ei trapunta a stelle d'oro.
        Giovanni Pascoli
        dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          L'uccellino del freddo

          Viene il freddo. Giri per dirlo
          tu, sgricciolo, intorno le siepi;
          e sentire fai nel tuo zirlo
          lo strido di gelo che crepi.
          Il tuo trillo sembra la brina
          che sgrigiola, il vetro che incrina...
          trr trr trr terit tirit...
          Viene il verno. Nella tua voce
          c'è il verno tutt'arido e tecco.
          Tu somigli un guscio di noce,
          che ruzzola con rumor secco.
          T'ha insegnato il breve tuo trillo
          con l'elitre tremule il grillo...
          trr trr trr terit tirit...
          Nel tuo verso suona scrio scrio,
          con piccoli crepiti e stiocchi,
          il segreto scricchiolettio
          di quella catasta di ciocchi.
          Uno scricchiolettio ti parve
          d'udirvi cercando le larve...
          trr trr trr terit tirit...
          Tutto, intorno, screpola rotto.
          Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
          Così rompere odi lì sotto,
          così screpolare lì dietro.
          Oh! lì dentro vedi una vecchia
          che fiacca la stipa e la grecchia...
          trr trr trr terit tirit...
          Vedi il lume, vedi la vampa.
          Tu frulli dal vetro alla fratta.
          Ecco un tizzo soffia, una stiampa
          già croscia, una scorza già scatta.
          Ecco nella grigia casetta
          l'allegra fiammata scoppietta...
          trr trr trr terit tirit...
          Fuori, in terra, frusciano foglie
          cadute. Nell'Alpe lontana
          ce n'è un mucchio grande che accoglie
          la verde tua palla di lana.
          Nido verde tra foglie morte,
          che fanno, ad un soffio più forte...
          trr trr trr terit tirit...
          Giovanni Pascoli
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Anniversario (1889)

            Sono più di trent'anni e, di queste ore,
            mamma, tu con dolor m'hai partorito;
            ed il mio nuovo piccolo vagito
            t'addolorava più del tuo dolore.
            Poi tra il dolore sempre ed il timore,
            o dolce madre, m'hai di te nutrito:
            e quando fui del corpo tuo vestito,
            quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,
            allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!
            E già gli occhi materni io penso a vuoto;
            e il caro viso già mi si scolora;
            mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
            freddo dè morti, nel tuo sogno immoto,
            tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
            Giovanni Pascoli
            dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Alba festiva

              Che hanno le campane,
              che squillano vicine,
              che ronzano lontane?
              È un inno senza fine,
              or d'oro, ora d'argento,
              nell'ombre mattutine.
              Con un dondolìo lento
              implori, o voce d'oro,
              nel cielo sonnolento.
              Tra il cantico sonoro
              il tuo tintinno squilla,
              voce argentina - Adoro,
              adoro - Dilla, dilla,
              la nota d'oro - L'onda
              pende dal ciel, tranquilla.
              Ma voce più profonda
              sotto l'amor rimbomba,
              par che al desìo risponda:
              la voce della tomba.
              Giovanni Pascoli
              dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Arano

                Al campo, dove roggio nel filare
                qualche pampano brilla, e dalle fratte
                sembra la nebbia mattinal fumare,
                arano: a lente grida, uno le lente
                vacche spinge; altri semina; un ribatte
                le porche con sua marra paziente;
                ché il passero saputo in cor già gode,
                e il tutto spia dai rami irti del moro;
                e il pettirosso: nelle siepi s'ode
                il suo sottil tintinnio come d'oro.
                Giovanni Pascoli
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Mezzogiorno

                  L'osteria della pergola è in faccende:
                  piena è di grida, di brusìo, di sordi
                  tonfi; il camin fumante a tratti splende.
                  Sulla soglia, tra il nembo degli odori
                  pingui, un mendico brontola: Altri tordi
                  c'era una volta, e altri cacciatori.
                  Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
                  dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
                  e dai remoti campanili intorno
                  un'ondata di riso empie la villa.
                  Giovanni Pascoli
                  dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    In ritardo

                    E l'acqua cade su la morta estate,
                    e l'acqua scroscia su le morte foglie;
                    e tutto è chiuso, e intorno le ventate
                    gettano l'acqua alle inverdite soglie;
                    e intorno i tuoni brontolano in aria;
                    se non qualcuno che rotola giù.
                    Apersi un poco la finestra: udii
                    rugliare in piena due torrenti e un fiume;
                    e mi parve d'udir due scoppiettìi
                    e di vedere un nereggiar di piume.
                    O rondinella spersa e solitaria,
                    per questo tempo come sei qui tu?
                    Oh! non è questo un temporale estivo
                    col giorno buio e con la rosea sera,
                    sera che par la sera dell'arrivo,
                    tenera e fresca come a primavera,
                    quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
                    li salutava allegra la tribù.
                    Se n'è partita la tribù, da tanto!
                    Tanto, che forse pensano al ritorno,
                    tanto, che forse già provano il canto
                    che canteranno all'alba di quel giorno:
                    sognano l'alba di San Benedetto
                    nel lontano Baghirmi e nel Bornù.
                    E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
                    l'acqua mi sferza, mi respinge il vento.
                    Non più gli scoppiettìi, ma le remote
                    voci dei fiumi, ma sgrondare io sento
                    sempre più l'acqua, rotolare il tuono,
                    il vento alzare ogni minuto più.
                    E fuori vedo due ombre, due voli,
                    due volastrucci nella sera mesta,
                    rimasti qui nel grigio autunno soli,
                    ch'aliano soli in mezzo alla tempesta:
                    rimasti addietro il giorno del frastuono,
                    delle grida d'amore e gioventù.
                    Son padre e madre. C'è sotto le gronde
                    un nido, in fila con quei nidi muti,
                    il lor nido che geme e che nasconde
                    sei rondinini non ancor pennuti.
                    Al primo nido già toccò sventura.
                    Fecero questo accanto a quel che fu.
                    Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore,
                    ha fame in mezzo a tante cose morte;
                    e l'anno è morto, ed anche il giorno muore,
                    e il tuono muglia, e il vento urla più forte,
                    e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura,
                    e quello ch'era non sarà mai più.
                    Giovanni Pascoli
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