Le migliori poesie di Flavia Ricucci

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Scritta da: Violina Sirola

Caina

Cade la neve
lentamente
ritorna primavera; alto il sole
arroventa l'aria
ricresce l'erba
cadono le foglie,
novembre torna grigio
il tempo si dissolve.

Un fiore in bocca
rosso mi consuma, mastico amaro. Un pensiero
antico mi arrovella schiodo il tarlo, lo chiudo
stretto in pugno
e gli sussurro: "A chi giova la vita
appesa al filo della morta
speranza"?
– La vita è dono! –

Se Dio comanda Cristo
rimase in croce
un solo giorno,
anch'io risorgerò vicino a Dio.

"Maddalena
sorella
assassina – insinua il tarlo –
non bere la cicuta, si tocchi Caina".
Flavia Ricucci
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    Scritta da: Violina Sirola

    Cronaca

    Racconto di popoli scalzi - ribelli, di mercanti
    di morte;
    di un bimbo nato in una carretta di mare
    la mamma travolta, stanotte;
    la brutta avventura di guerra,
    la Libia in rivolta. Elenco i sequestri
    di beni alla mafia,
    i morti per droga,
    i danni del mare, la radio sussulta
    trasmette: è buio in Giappone.

    Italia sei bella!
    sul mare c'è un vecchio
    che tira la corda, è una fune
    legata alla luna
    riflette sul mare il sorriso
    "sinistro" di un viso stirato
    - è arte -
    nasconde la faccia sua
    oscura la spesa
    del gioco
    - un azzardo - Se tira più forte si spezza la fune?
    Racconto:
    è nata una bimba in una carretta
    sul mare sorgeva l'aurora
    la luna non c'era.
    Flavia Ricucci
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      Scritta da: Violina Sirola

      Fumetto Divino

      La Storia: trastullo
      divino tra le righe disegno
      la battaglia
      navale nei quadretti
      orizzontale - verticale
      chiamo: C - 7
      - affondato!
      Guerra

      Nel gioco serio
      non si placa l'ira
      - Iradiddio - un gioco
      antico a tre: eroe mutante
      eterno infedele, prestanome
      di Dio - perfetta quadratura col Maligno -
      fuorilegge Dio...

      Nel divenire eternamente uguale Dio ha noia
      il Fumetto Nuovo non ha l'IRA.
      Flavia Ricucci
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        Scritta da: Violina Sirola

        La beffa per ovviare al danno

        Era così intenso il verde
        prato, da non stingere al sole.
        Vi abitava Pecora Nera, dai bianchi
        suoi vicini l'erba non c'era.

        Viro-silente, capo branco
        bianco, in una notte di luna piena
        tenne consiglio rapido e astuto:
        "i nostri figli ormai sono stremati
        cadono i denti ruminando a vuoto.
        L'erba ci fugge, noi la raggiungiamo".

        Una nuvola, densa
        di sospiri, coprì la bianca
        luna; fu buio pesto nel sordo
        ruminare.

        Stava Martino in mezzo al prato
        verde, sognava una dolce
        agnellina. Viro-silente, rapido
        all'istante, prese la preda e
        corse dai compagni
        saziati, a sbafo, con l'erba del vicino.

        "Amici miei, dobbiamo
        ringraziare il nostro
        Dio. Offriamo in sacrificio
        questo agnello".

        Così Martino, dal nero
        mantello, bruciò senza pietà
        nella fornace; il fumo della legna
        ancora verde, intriso dell'odore
        di bruciato, salì nel cielo e si dispose attorno
        la faccia tonda della luna piena.

        Pecora Nera, quando fu mattino,
        si accorse che non c'era il suo
        Martino. La rabbia in corpo, colore
        della pelle, decise di recarsi dai vicini.

        Viro-silente non era ancora sazio
        brucava l'erba in sogno; fu interrotto
        da un belato, straziante e senza fine. Pensò
        alla beffa, per ovviare al danno
        prese dal gregge, suo, un agnellino
        gli tinse col tizzone il bianco vello

        "Vedi quel cactus - disse il gran
        montone - unica pianta nell'arida
        valle, ha protetto dai lupi
        il tuo Martino".

        Una nuvola, gravida
        d'inganno, uno scroscio di pioggia
        aprì all'istante, lavando il nero
        fumo al vello bianco.

        Viro-silente non perse l'occasione
        mise il timbro solenne e
        sentenziò: "Miracolo!
        Per trovarlo al buio della notte
        occorreva fosse bianco
        il tuo Martino".

        Da quel giorno, Pecora nera
        non mangiò che "fogli"
        lo spazio verde fu arso dal sole.
        Flavia Ricucci
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