Trama del film Paulina

Nonostante il padre, un importante giudice, sia contrario, Paulina è fermamente convinta della propria scelta: abbandonare il dottorato in giurisprudenza per trasferirsi al confine tra Argentina e Paraguay e insegnare ai poveri. Ben presto la realtà si dimostrerà più ostile di quanto Paulina potesse immaginare; inoltre, durante la sua prima sera dopo il lavoro, la ragazza subisce uno stupro. Nonostante sospetti che l'aggressore e i suoi amici siano tra i suoi allievi, Paulina si rifiuta di denunciarli e ostacola la giustizia in ogni modo. Persino dopo aver scoperto di essere rimasta incinta. Il titolo originale del secondo film di Santiago Mitre, La patota, richiama quello di un film del 1961 di Daniel Tinayre - di cui Paulina rappresenta una sorta di remake - e si avvicina molto a quello di un titolo italiano su un tema analogo, Il branco. Dove quest'ultimo si muoveva nei binari del revenge movie, Santiago Mitre gioca la carta dello stupore, radicalizzando le scelte del personaggio di Paulina fino a isolarla totalmente di fronte a famiglia e amici. L'idealista Paulina, identificata come tale sin dalle prime battute, è infatti così prigioniera dei suoi principi da anteporre il suo personale senso di giustizia alla giustizia codificata degli uomini. Paulina diviene così un vigilante al contrario, che sceglie di perdonare dove Charles Bronson sceglieva di giustiziare, secondo principi opposti ma convergenti. Per sostenere la sua tesi e per espiare i suoi sensi di colpa verso una fetta di società che sente di aver contribuito a generare e sfruttare (la scena delle sevizie al branco sembrano richiamare i metodi della polizia di Videla), Paulina mente sotto giuramento, ma soprattutto decide di lasciare in libertà chi dovrebbe essere punito, chi potrebbe commettere lo stesso reato su altre donne innocenti. Se il quesito etico lascia perplessi, specie per la posizione che Mitre sembra assumere, la messa in scena non supporta la lacerazione etica con la necessaria radicalità. Tutte le scelte di regia di Mitre sono improntate alla convenzionalità: la ricostruzione di quanto avvenuto la notte dello stupro, con i diversi punti di vista; la scelta del piano sequenza per i dialoghi tra Paulina e il padre, con il contrasto del dialogo filosofico; i piani fissi per gli esterni. La prova di Dolores Fonzi, seppur intensa, fatica a convincere sul senso di smarrimento che sembra attraversare il personaggio di Paulina, e la fissità del suo sguardo non riesce a dirimere il quesito sul suo stato mentale: lucida o sotto choc? In balia dei suoi ideali, della mera contrapposizione verso il padre, o con un piano ben preciso in mente? Probabilmente, al di là dell'effetto desiderato dall'autore, dal lato contenutistico è quasi impossibile non assecondare il buon senso del padre, mentre da quello tecnico e artistico è altrettanto evidente dover prendere atto che il dissidio etico alla base del film avrebbe meritato una cura e un'innovazione lontane dalle capacità dimostrate da Mitre.

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