Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

1911

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida?"
Perché d'agra tristezza
l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
Soffocando, gridai: "È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: "Non startene al vento".
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Bokassa Rap

    I giudici se vogliono giudicare bisogna che si facciano eleggere
    i giornalisti se vogliono scrivere non devono criticare
    i sindacalisti devono alzarsi in piedi quando mi vedono entrare
    l'opposizione non deve opporsi se no non vale
    e insomma una buona volta lasciatemi lavorare
    ho sei ville in Sardegna e le bollette da pagare
    e forse dovrei farmi ricoverare
    Mi consenta mi consenta senta
    c'è troppa anomalia in questa società violenta

    I giudici se vogliono restare non ci devono arrestare
    la stampa estera l'Italia non la deve riguardare
    e io a casa mia mangio con chi mi pare
    e insomma Bettino smettila di telefonare
    più di quello che ho fatto proprio non lo posso fare
    ho sei televisioni sulle spalle da mantenere
    e forse mi dovrei far ricoverare
    Mi consenta mi consenta senta
    c'è troppa finanza in questa società violenta

    E i tre saggi se sono saggi non si devono impicciare
    e la Rai deve essere complementare
    e perdio spiegatemi cosa vuol dire complementare
    e non dite che non so l'italiano che mi fate incazzare
    e i giudici i processi li devono stipulare
    e i giornalisti non devono esageracerbare
    e forse mi dovrei far ricoverare
    Mi consenta mi consenta senta
    c'è troppa poca Fininvest in questa società violenta

    E i giudici si alzino in piedi prima di giudicare
    e se la mafia mi vota cosa ci posso fare
    e il milione di posti l'avevo detto per scherzare
    e voglio tremila guardie del corpo che mi devono guardare
    e un ritratto di sei metri vestito da imperatore
    e che sono fascista non me lo dovete dire
    e i giornalisti prima di scrivere si facciano eleggere
    e i rigori contro il Milan non li dovete dare
    e gli agit-prop vadano in Russia ad agitproppare
    e non chiamatemi Bokassa o vi faccio fucilare
    e i giudici il paese non lo possono sventrare
    e a me gli avvisi di garanzia non li dovete mandare
    e forse mi dovrei un po' calmare
    ma se io sono Dio cosa ci posso fare
    Mi consenta mi consenta senta
    no c'è più religione in questa società violenta.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Allora

      Allora... in un tempo assai lunge
      felice fui molto; non ora:
      ma quanta dolcezza mi giunge
      da tanta dolcezza d'allora!
      Quell'anno! Per anni che poi
      fuggirono, che fuggiranno,
      non puoi, mio pensiero, non puoi,
      portare con te, che quell'anno!
      Un giorno fu quello, ch'è senza
      compagno, ch'è senza ritorno;
      la vita fu vana parvenza
      sì prima sì dopo quel giorno!
      Un punto!... così passeggero,
      che in vero passò non raggiunto,
      ma bello così, che molto ero
      felice, felice, quel punto!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il poeta solitario

        O dolce usignolo che ascolto
        (non sai dove), in questa gran pace
        cantare cantare tra il folto,
        là, dei sanguini e delle acace;
        t'ho presa - perdona, usignolo -
        una dolce nota, sol una,
        ch'io canto tra me, solo solo,
        nella sera, al lume di luna.
        E pare una tremula bolla
        tra l'odore acuto del fieno,
        un molle gorgoglio di polla,
        un lontano fischio di treno...
        Chi passa, al morire del giorno,
        ch'ode un fischio lungo laggiù
        riprende nel cuore il ritorno
        verso quello che non è più.
        Si trova al nativo villaggio,
        vi ritrova quello che c'era:
        l'odore di mesi-di-maggio
        buon odor di rose e di cera.
        Ne ronzano le litanie,
        come l'api intorno una culla:
        ci sono due voci sì pie!
        Di sua madre e d'una fanciulla.
        Poi fatto silenzio, pian piano,
        nella nota mia, che t'ho presa,
        risente squillare il lontano
        campanello della sua chiesa.
        Riprende l'antica preghiera,
        ch'ora ora non ha perché;
        si trova con quello che c'era,
        ch'ora ora ora non c'è...
        Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
        ma di notte, perch'ho vergogna.
        O alato, io qui vivo nel fango.
        Sono un gramo rospo che sogna.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Per quel giorno, se mai verrà quel giorno (Sonetto 49)

          Per quel giorno, se mai verrà quel giorno,
          in cui ti vedrò accigliare ad ogni mio difetto,
          e chiuderà il tuo amore il suo conto estremo
          spinto a tal giudizio da sagge riflessioni:
          per quel giorno in cui m'incontrerai da estraneo
          senza volgere al mio viso il sole dei tuoi occhi,
          e l'amor, mutato da quel era un tempo,
          troverà ragioni di una certa gravità:
          per quel giorno, dovrò cercare asilo
          dentro la coscienza dei miei soli meriti,
          e alzerò davanti a me questa mia mano
          per parare quanto addurrai a tua ragione.
          Per lasciar me miserabile tu hai la forza delle leggi
          mentre io d'esser amato non posso vantar diritti.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Al fiume

            Bel fiume! Nel tuo limpido flutto
            di lucido cristallo, acqua errabonda,
            tu sei emblema d'una fulgente
            beltà - cuore non disvelato -
            piacevole intrico dell'arte
            nella figlia del vecchio Alberto;

            ma quando la tua onda ella contempla -
            che scintilla allora e tremola,
            oh, allora il più leggiadro rivo
            si fa simile a colui che l'adora:
            ché nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,
            l'immagine di colei è radicata:
            in quel cuore che tremola al raggio
            di occhi che cercano l'anima.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              L'amor mio è vestita di luce

              L'amor mio è vestita di luce
              In mezzo ai meli
              Dove i lieti venti più bramano
              Di correre insieme.

              Là dove i venti lieti restano un poco
              A corteggiare le giovani foglie,
              L'amor mio va lentamente, china
              Alla propria ombra sull'erba;

              Là, dove il cielo è una coppa azzurrina
              Rovescia sulla terra ridente,
              Va l'amor mio luminoso, sostenendo
              Con garbo la veste.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

                Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
                Silenziosa luna?
                Sorgi la sera, e vai,
                Contemplando i deserti; indi ti posi.
                Ancor non sei tu paga
                Di riandare i sempiterni calli?
                Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
                Di mirar queste valli?
                Somiglia alla tua vita
                La vita del pastore.
                Sorge in sul primo albore;
                Move la greggia oltre pel campo, e vede
                Greggi, fontane ed erbe;
                Poi stanco si riposa in su la sera:
                Altro mai non ispera.
                Dimmi, o luna: a che vale
                Al pastor la sua vita,
                La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
                Questo vagar mio breve,
                Il tuo corso immortale?
                Vecchierel bianco, infermo,
                Mezzo vestito e scalzo,
                Con gravissimo fascio in su le spalle,
                Per montagna e per valle,
                Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
                Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
                L'ora, e quando poi gela,
                Corre via, corre, anela,
                Varca torrenti e stagni,
                Cade, risorge, e più e più s'affretta,
                Senza posa o ristoro,
                Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
                Colà dove la via
                E dove il tanto affaticar fu volto:
                Abisso orrido, immenso,
                Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
                Vergine luna, tale
                È la vita mortale.
                Nasce l'uomo a fatica,
                Ed è rischio di morte il nascimento.
                Prova pena e tormento
                Per prima cosa; e in sul principio stesso
                La madre e il genitore
                Il prende a consolar dell'esser nato.
                Poi che crescendo viene,
                L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
                Con atti e con parole
                Studiasi fargli core,
                E consolarlo dell'umano stato:
                Altro ufficio più grato
                Non si fa da parenti alla lor prole.
                Ma perché dare al sole,
                Perché reggere in vita
                Chi poi di quella consolar convenga?
                Se la vita è sventura
                Perché da noi si dura?
                Intatta luna, tale
                È lo stato mortale.
                Ma tu mortal non sei,
                E forse del mio dir poco ti cale.
                Pur tu, solinga, eterna peregrina,
                Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
                Questo viver terreno,
                Il patir nostro, il sospirar, che sia;
                Che sia questo morir, questo supremo
                Scolorar del sembiante,
                E perir dalla terra, e venir meno
                Ad ogni usata, amante compagnia.
                E tu certo comprendi
                Il perché delle cose, e vedi il frutto
                Del mattin, della sera,
                Del tacito, infinito andar del tempo.
                Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
                Rida la primavera,
                A chi giovi l'ardore, e che procacci
                Il verno cò suoi ghiacci.
                Mille cose sai tu, mille discopri,
                Che son celate al semplice pastore.
                Spesso quand'io ti miro
                Star così muta in sul deserto piano,
                Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
                Ovver con la mia greggia
                Seguirmi viaggiando a mano a mano;
                E quando miro in cielo arder le stelle;
                Dico fra me pensando:
                A che tante facelle?
                Che fa l'aria infinita, e quel profondo
                Infinito seren? Che vuol dir questa
                Solitudine immensa? Ed io che sono?
                Così meco ragiono: e della stanza
                Smisurata e superba,
                E dell'innumerabile famiglia;
                Poi di tanto adoprar, di tanti moti
                D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
                Girando senza posa,
                Per tornar sempre là donde son mosse;
                Uso alcuno, alcun frutto
                Indovinar non so. Ma tu per certo,
                Giovinetta immortal, conosci il tutto.
                Questo io conosco e sento,
                Che degli eterni giri,
                Che dell'esser mio frale,
                Qualche bene o contento
                Avrà fors'altri; a me la vita è male.
                O greggia mia che posi, oh te beata,
                Che la miseria tua, credo, non sai!
                Quanta invidia ti porto!
                Non sol perché d'affanno
                Quasi libera vai;
                Ch'ogni stento, ogni danno,
                Ogni estremo timor subito scordi;
                Ma più perché giammai tedio non provi.
                Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
                Tu sè queta e contenta;
                E gran parte dell'anno
                Senza noia consumi in quello stato.
                Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
                E un fastidio m'ingombra
                La mente, ed uno spron quasi mi punge
                Sì che, sedendo, più che mai son lunge
                Da trovar pace o loco.
                E pur nulla non bramo,
                E non ho fino a qui cagion di pianto.
                Quel che tu goda o quanto,
                Non so già dir; ma fortunata sei.
                Ed io godo ancor poco,
                O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
                Se tu parlar sapessi, io chiederei:
                Dimmi: perché giacendo
                A bell'agio, ozioso,
                S'appaga ogni animale;
                Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
                Forse s'avess'io l'ale
                Da volar su le nubi,
                E noverar le stelle ad una ad una,
                O come il tuono errar di giogo in giogo,
                Più felice sarei, dolce mia greggia,
                Più felice sarei, candida luna.
                O forse erra dal vero,
                Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
                Forse in qual forma, in quale
                Stato che sia, dentro covile o cuna,
                È funesto a chi nasce il dì natale.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Noi saremo

                  Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
                  che certo guarderanno male la nostra gioia,

                  talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
                  Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

                  che la speranza addita, senza badare affatto
                  che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

                  Nell'amore isolati come in un bosco nero,
                  i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

                  saranno due usignoli che cantan nella sera.
                  Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

                  non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
                  accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

                  Uniti dal più forte, dal più caro legame,
                  e inoltre ricoperti di una dura corazza,
                  sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

                  Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
                  per noi ha stabilito, cammineremo insieme
                  la mano nella mano, con l'anima infantile
                  di quelli che si amano in modo puro, vero?
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