Sei la mia schiavitù sei la mia libertà sei la mia carne che brucia come la nuda carne delle notti d'estate sei la mia patria tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi tu, alta e vittoriosa sei la mia nostalgia di saperti inaccessibile nel momento stesso in cui ti afferro.
O bel clivo fiorito Cavallino ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera al mio bel tempo; chi sa dir se l'era d'olmo la tua parlante ombra o di pino? Era busso ricciuto o biancospino, da cui dorata trasparia la sera? C'è un campanile tra una selva nera, che canta, bianco, l'inno mattutino? Non so: ché quando a te s'appressa il vano desìo, per entro il cielo fuggitivo te vedo incerta vision fluire. So ch'or sembri il paese allor lontano lontano, che dal tuo fiorito clivo io rimirai nel limpido avvenire.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi, case, colli per l'inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t'attende dalla sera in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all'avventura e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola nè qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende... ). Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Quanto ancor più bella sembra la bellezza (Sonetto 54)
Quanto ancor più bella sembra la bellezza, per quel ricco ornamento che virtù le dona! Bella ci appar la rosa, ma più bella la pensiamo per la soave essenza che vive dentro a lei. Anche le selvatiche hanno tinte molto intense simili al colore delle rose profumate, hanno le stesse spine e giocano con lo stesso brio quando la brezza d'estate ne schiude gli ascosi boccioli: ma poiché il loro pregio è solo l'apparenza, abbandonate vivono, sfioriscono neglette e solitarie muoiono. Non così per le fragranti rose: la loro dolce morte divien soavissimo profumo: e così è; per te, fiore stupendo e ambito, come appassirai, i miei versi stilleran la tua virtù.
Perdettero la stella un giorno. Come si a perdere La stella? Per averla troppo a lungo fissata… I due re bianchi, ch'eran due sapienti di Caldea, tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.
Si misero a calcolare, si grattarono il mento… Ma la stella era svanita come svanisce un'idea, e quegli uomini, la cui anima aveva sete d'essere guidata, piansero innalzando le tende di cotone.
Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri, si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra. Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":
E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa, nello specchio di cielo in cui bevevano i cammelli egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta? Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, sempilci così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei. Oggi io penso a morire. Io voglio morire, solamente perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle cattedrali mi fanno tremare d'amore e di angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire. Oh, non meravigliarti della mia tristezza! E non domandarmi; io non saprei dirti che parole così vane, Dio mio così vane, che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire. Le mie lagrime avrebbero l'aria di sgranare un rosario di tristezza davanti alla mia anima sette volte dolente ma io non sarei un poeta; sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme. Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio. Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo dimenticato da tutti gli umani, povera tenera preda del primo venuto; e desiderai di essere venduto, di essere battuto di essere costretto a digiunare per potermi mettere a piangere tutto tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro. Io amo la vita semolice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava! Ma tu non mi comprendi e sorridi. E pensi che io sia malato. Oh, io sono veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen.
E i bicchieri erano vuoti e la bottiglia in pezzi E il letto spalancato e la porta sprangata E tutte le stelle di vetro della bellezza e della gioia risplendevano nella polvere della camera spazzata male Ed io ubriaco morto ero un fuoco di gioia e tu ubriaca viva nuda nelle mie braccia.