Scritta da: Sandro Spallino

Un canto a mia madre

Non ho mai capito
chi di noi due abbia
amato di più,
se io te o tu me,
so di averti guardato
sempre come a una stella
che batte la luce
nella cupola notturna del cielo,
e so di averti in cuor mio
amata a tal punto
che quasi a te somiglio
come una rosa
è simile a un'altra,
come la goccia cadendo
e gemella all'acqua.
Racchiuso in quest'inverno
e prigioniero alla tua rete
mentre la luna cantava
con la voce delle madri della terra,
tutti questi anni mi sentii
soffocare da un amore
troppo grande, e udii
l'anima vibrare.

Un tempo il tuo amore
forgiato nel grembo partorì
il suo frutto nelle gioia e nell'affanno,
dalle albe andate che ne fanno
più rosso il sangue
nelle epoche, col sacrificio le mani
più dure delle armi,
sempre penetrante nella scorza
della carne, negli abissi dell'anima
la tua presenza, sino a
a far saltare l'identicità
al proprio figlio, il legame antico,
l'urlo del tuo amore immortale.

O immensità di un prato, così
come un milione di rose fluttuanti
nel vento di una dea o visto
il tuo volto scintillare madre mia
nelle specchio del mio cuore,
nelle foglie della mia anima
solitaria, e dentro il petto
di nutrice bisbigliare parole
care come schegge di sole al mare,
come semi nella terra stracolma
nell'ultima pioggia autunnale.
Cade la sera, ed io dal mio
profondo venire al tuo sguardo
antico di bella cometa,
canto al cigno un bianco
verso notturno, canto senza più esitare
di averti amato di più, o Madre.

Dedicata a mia madre, Amaddio Antonia,
alba e tramonto di tutte le mie giornate
con amore infinito e gioia filiale.
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    Scritta da: Sandro Spallino

    Ogni raggio a te volge

    Il vento muove i rami delle
    acacie fra lucide formiche
    qui scivola e s'inabissa
    nel braciere cuore la tua
    immagine sottile, nomade
    fugge il tuo canto oltre il crinale
    di cime e nel sangue la speranza
    s'imprime.

    Era nella pietra immota come
    un grido schiuso d'antiche leggende
    il tuo nome, riarso sfavilla al
    sole tra fuscelli in rovine.
    Dove leggiadra passeggi non
    s'ode traccia di un Dio, libera
    e rompe la scorza per esistere
    ogni raccordo di vite. S'udiva
    a novembre la tua mano
    sulle erbe vive, fiato d'innesto
    amore sui folti papiri.

    Ogni raggio a te volge, si china
    di suono ai ventagli del giorno,
    muore per un docile ritorno
    fianco al tuo cuore camminando.

    Non so se fosti musa o dea per i
    poveri del mondo, per gli ultimi
    che scalano spacchi cocciuti di
    strapiombo, per me che fuggo
    la curva al tramonto fosti donna vera,
    odoroso corallo a primavera
    di fatiche umane, dolceneri capelli
    intrigo della mia anima annodata
    delle mie tante ferite, pane di un
    miracolo nella terra arsa piovuto
    stanotte tra le mie gemme recise.
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      Scritta da: Sandro Spallino

      UN SUSSURRO

      L'ambra di una stella
      Batte nel notturno cielo,
      come il tuo cuore svegliato
      al mio apparire batte.
      Nuovi come i boccioli di gigli al mattino
      cantanti l'alba i miei occhi inzuppati
      alla luce dei petali sentii,
      alle fresche essenze le tue nari,
      ora mentre sospesi camminiamo
      nel giorno che traspare come le acque
      e balena il volto degli antenati,
      nello specchio di una fontana
      nel mezzo di una chiarità
      un limpido sorridere tra le foglie piegate,
      di loro poi le voci appena, troppo fugaci.

      Mia amata, nell'amore ti ho donato il grido disperato
      mentre la spina mi tagliava il dito,
      e sulla rosa accolta, una gioia sanguinava,
      e il mio scialle di pensieri
      fremeva per la bocca
      impregnata di un lieve filo d'aria
      e un Dio fuggente dalle caverne mattine
      il cuore liberava.

      Quante le volte che ho sussurrato al tuo orecchio
      "amami che ti amo"
      Nel fondo senza fine di una notte,
      nel tuo sogno immemore senza paesi,
      con un calore che scioglieva i ghiacciai,
      braccato dalla luna,
      vieni ancora a me sulle zampine del vento,
      mia venere immortale,
      profumo degli angeli,
      ora mentre scuote il vento le cime spezzate,
      e mi disseti abbattuto sui tuoi baci.
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        Scritta da: Sandro Spallino

        De Profundis

        Ecco che torno
        ancora qui, cammino
        sospeso a un viale di croci e Angeli
        che solo il grido delle
        rondini taglia,
        quando la luce è trasparente
        come l'acqua e l'odore di
        buganvillea la trapassa.
        Allargo le braccia e sento che
        sei nell'aria, un'immagine
        che riveste il cielo la tua, alta
        su un piccolo lume acceso
        più che straordinaria.
        Anche i cipressi avanzano
        un loro canto nella tenera
        ombra dei meriggi, qui nei
        silenzi precipitati da secoli
        che richiamano i lamenti delle vedove.

        Dove sei pittore di ponticelli
        esigui, tu custode
        delle proprie dimore,
        passo leggero di piume,
        labbra di innocenze schiuse,
        anche queste rose che
        urtano il venticello a te
        connettono, e i sensi di queste
        ortensie oltre con me ti
        afferrano, il sorriso tenue.

        Ma se il tempo del dolore
        prosciuga il mare
        di lacrime, le dighe dell'anima
        svuotano a effluvi il proprio alito
        e le iridi si spaccano,
        viene il dubbio se sbandiamo
        ciò che sarà il futuro,
        non resta alto che un suono di preghiera
        sussurro nella sera.
        Era ciò quella sinuosa linea
        nella tua mano che leggevo, sottile
        in cui figurava il passato,
        una lettera in cornice a
        testimonianza di una combattuta fede
        romantica, col tuo nome bene
        iscritto, era per te l'amore
        amato fatto presagio,
        col cuore e un pesciolino li lasciato.

        Ora i tuoi occhi sono
        come questo mare
        limpido che palpita un
        suono universale, culla in
        cui la mie labbra si
        specchiano nel magico
        seguitare delle voci che
        compongono il canto vitale.

        Dove sei tu Mentore,
        tu emblema di speranze,
        sguardo di paesi lucenti
        nel mare, tu veliero su tempeste
        e prode condottiero.

        Ho provato a riempire quel
        vuoto che hai lasciato con una
        sciarpa e un occhiale che
        solevi portare,
        per darmi speranza, ma non
        ho fermato una sola lacrima,
        dove sei cacciatore di
        fortune, tu vincitore vinto,
        pifferaio fischiettante in vetta
        a un sole, libero dalle catene
        ci vedi ora nei contorni più
        accesi, ma come chi è
        partito lontano dalla dolce amata
        a cercar fortuna noi ti
        aspettiamo venire col
        vestito nuovo e le canzoni dell'epoca rare,
        il sorriso furbo scintillante
        di chi visita paesi
        oltremare, tu l'amico fedele

        il miglior padre.

        A Calogero Spallino mio padre con tutto il mio amore filiale, scritta e dedicata.
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          Scritta da: Sandro Spallino

          Un grido

          dove sei incarnazione della luna,
          emozione della forza di un mare
          alle porte naufraghe del mio petto,
          sospiro dell'inverno sulle foglie
          lacrimose dei miei occhi incendiati,
          neve bianca sul mio cuore
          che il tuo nome ha inciso coll'acciaio,
          diluvio nel cielo incrinato della mia
          torre, delle mie sabbie, e della mia
          anima mortale, morire e facile
          accanto alla sorgente vitale
          di ogni tua parola,
          vibrazione dell'assoluto
          ventre di ogni atomo.
          Dove sei Elisabetta!
          Labbra di un Dio
          fuggente che mi baciarono
          ad agosto mentre si spezzava l'aria.
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            Scritta da: Sandro Spallino

            Io e tu una sera

            In mezzo a una giostra
            di gabbiani al tramonto mi
            abbracci, sento il tuo scrigno
            cuore sul mio petto felice
            che batte, ascolto i sospiri tra
            le miti foglie recline sfiorare il
            tuo chiaro volto gentile chino
            al porto delle mie labbra,
            volo sugli orizzonti madreperlacei
            ora sul mantello di sabbie.

            Tra le siepi dondolanti ti svegli
            per baciarmi, dalla mongolfiera
            di pensieri stramazzo accolto dal
            tuo ventre bianco, ammaliato
            dalla vertigine del tuo canto.
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              Scritta da: Sandro Spallino

              Le apparenze

              Il maestrale ha soffiato
              Nei miei occhi il suo
              Muro gelido, nel secchio scuro
              Il polipo muove l'acqua,
              non abito mai, le mie ali
              sbattono sui tuoi seni irti
              attaccati nell'aria,
              Divinità spogliata,
              strappata a se stessa
              viene con il sue pube
              di potenza, fiore
              di mandorlo che si gode
              il cielo, la luce nel suo polline,
              il giallo, la campana, il solco
              sulla terra, ho ammazzato i
              miei occhi a guardarti
              le anche sfiorate dalle tende,
              annusate già dalla
              penombra dov'eri più bella,
              Oblio e Rinascenza, ieri, oggi, chissà,
              sotto la veste il nero increspato
              come la cerosia scrutavo,
              le chiavi nelle tue mani,
              piacere che ha invaso a cascate,
              l'anima lasciata la dov'era moriva,
              trasformato in colei che amo
              non sono più, le mie
              labbra cadute sui tuoi
              piedi bianchi, la stanza e il
              sangue, il bicchiere col rossetto
              impresso, la goccia del
              sudore della tua carne, il ghiaccio,
              gli amati lamenti.
              Luna nuova, Giove
              porta fortuna, Alba, un tempo
              noto con un lampo
              nel primo corso nel
              cielo arrivai a te, nei tuoi occhi
              riposi i miei vividi, apparvero i mondi,
              le terrazze e bevvi nei calici
              le tue offerte, l'oro era, l'oblio,
              e quando fui ubriaco felice,
              condor sui crinali delle cime,
              tu fosti irriverente apparenza,
              meretrice.
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                Scritta da: Sandro Spallino

                Alte speranze

                Non vedremo più i tamerici
                avvinti all'assetata luce
                nembo o vortice che assonna
                i lidi dal mare irrompe in spume,
                torneremo alla tempesta che
                sparpaglia un'acqua a un suolo
                che barbaglia, ricorderemo ch'era
                l'ambra il presagio, il cane
                impazzito che abbaia.

                Fosse vera la chimera che
                mi chiude la vista a una verità
                piu grande l'accoglierei, spalancherei
                l'ultima aria, ma non sono
                ne saremo mai quella fiaba amorosa
                che l'occhio umano talvolta ubriaca.

                Allora rimarrò qui tra il nulla e il
                vuoto sperduto senza lasciare traccia.
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                  Scritta da: Sandro Spallino

                  Molli silenti ore

                  Mi eri troppo piaciuta
                  sui colli fronzuti d'erba
                  Che odono l'oblio lento di mare
                  che l'anime fa placare.
                  Nell'ore molli come l'ostia
                  sui rovi solitari e crespi tacita l'estate,
                  camminavi e sorridere ti fu facile
                  e ascoltare il suono del mondo
                  tanto che il tuo pallore divenne vermiglio
                  come gelsi luccicanti di fulgore solare,
                  bella più che mai, mai così ti vidi!

                  Se sorridi tu che di rado lo fai,
                  la terra fiorisce d'improvviso,
                  la sera soffia sui granai galoppanti
                  ed è festa per le verdi campagne.
                  Dammi la tua mano chiara fresca di fontana
                  E allieta la mia casa
                  Li dove estua nera l'uva
                  arrampicata e la notte si adagia.

                  Dondolano i tuoi capelli castani
                  Per l'aria vive e si dilata il sogno che regala.
                  Vieni, usciamo, so che hai
                  l'anima ingombra!
                  Vieni tra le ristoppie a
                  scoprire un eremo tulipano,
                  non ti negare, ti sembrerà l'aprire,
                  un dolce rinsavire in petto
                  un vivere tra l'argento
                  lontano dal tempo andato,
                  vieni a camminare sul
                  tramonto infuocato.
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