Poesie inserite da Gb Chessa

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Scritta da: Gb Chessa

Il mestiere

In questo preciso istante guardati le scarpe
e posa quel cappello
Questo che sentite è un crescendo d'archi
suppongo settime aumentate
ma forse è il solo tuo compito
supporre settime aumentate,
il tuo secondo lavoro, secondo solo al primo
come per tutti gli uomini
si, perché il vero mestiere dell'uomo è andarsene.
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    Scritta da: Gb Chessa

    E il dolce

    E il dolce suicidio pervenne a monte
    ali gravide, procedette da ovest
    c'era gente impettita
    ma io nulla, morii lo stesso, indefesso.

    Il dolce suicidio soggiunse lo stesso
    esausto delle mie stesse geografie mentali
    sovvenne e ravvenne e soggiacette
    nonostante una totale assenza di tracce di lirismo.

    C'era un vento
    era giallo, come di gente che resta,
    grottescamente in un'aria di zolfo sinistra,
    forse era l'odore delle ceneri, una specie di incenso.

    Il dolce suicidio si chiamò con nomi di droghe inauditi
    terrificanti zampogne simboliche che tremavano terra al passo.
    Eppure il dolore era lì, dentro la gente che rimase,
    e il dolce suicidio prese terra e ali e zolfo
    ma soprattutto si prese il mio stato anagrafico.

    Fui zero, praticamente in una parola fui,
    l'unica parola che resta
    quando la brezza di due nodi tipica del dopo suicidio
    tesa brezza da est, lo segue e cancella il ricordo.

    C'era gente gialla, come di gente che resta vento,
    esausta delle sue stesse geografie mentali,
    che rimase dolore permanente, come in una costante di Bohr.

    Era il mio suicidio, eppure appartenne per sempre a quelli che restarono,
    nonostante un'assenza apparente di tracce di lirismo.
    Io ricordo il pianto di alcuni,
    come di bave colanti su zigomi assolti,
    come di bave colanti sopra un immacolata tenace assoluzione.

    E il dolce suicidio lo chiamavano con parole di Freud,
    di Kant e di Moliere, Shakespeare e tante altre salme impettite
    solo spettinate dalla nota brezza a due nodi del post-suicidio,
    il mio, ma anche di tutti, come un postulato di Bohr.

    Rimase il suicidio, ma soprattutto rimasi io,
    perché nel frattempo colò un Dio
    e divenni eterno
    di non so quale pasta eterna,
    tipo giallo, con odore di vento, teso, da est, due nodi,
    e guardo insieme a tutti gli esimi suicidi la gente che resta
    tesa, da est, a spergiurare dentro le proprie nauseanti geografie mentali,
    a scongiurare con segni di croce e rosari il proprio suicidio,
    tutto, perfettamente, in un apparente assenza di lirismo.
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