Poesie di Guido Gozzano

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Scritta da: Luisa Marcangeli
Nonno, l'argento della tua canizie
rifulge nella luce dei sentieri
passi tra i fichi, i susini e i peri
con nelle mani un cesto di primizie:
"Le piogge di Settembre già propizie | gonfian sul ramo i fichi bianchi e neri,
susine claudie varietà pregiata di susine...
a chi lavori e speri
Gesù concede tutte le delizie" Mi specchio ancora nello specchio rotto
rivedo i finti frutti d'alabastro...
Ma tu sei morto e non c'è più Gesù.
Guido Gozzano
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    Scritta da: perlanerauno

    Pioggia d'agosto

    Nel mio giardino triste ulula il vento,
    cade l'acquata a rade gocce, poscia
    più precipite giù crepita scroscia
    a fili interminabili d'argento.
    Guardo la Terra abbeverata e sento
    ad ora ad ora un fremito d'angoscia.

    Soffro la pena di colui che sa
    la sua tristezza vana e senza mete;
    l'acqua tessuta dall'immensità
    chiude il mio sogno come in una rete,
    e non so quali voci esili inquiete
    sorgano dalla mia perplessità.

    "La tua perplessità mediti l'ale
    verso meta più vasta e più remota!
    È tempo che una fede alta ti scuota,
    ti levi sopra te, nell'Ideale!
    Guarda gli amici. Ognun palpita quale
    demagogo, credente, patriota.

    Guarda gli amici. Ognuno già ripose
    la varia fede nelle varie scuole.
    Tu non credi e sogghigni. Or quali cose
    darai per meta all'anima che duole?
    La Patria? Dio? l'Umanità? Parole
    che i retori t'han fatto nauseose!...

    Lotte brutali d'appetiti avversi
    dove l'anima putre e non s'appaga...
    Chiedi al responso dell'antica maga
    la sola verità buona a sapersi;
    la Natura! Poter chiudere in versi
    i misteri che svela a chi l'indaga!"

    Ah! La Natura non è sorda e muta;
    se interrogo il lichéne ed il macigno
    essa parla del suo fine benigno...
    Nata di sé medesima, assoluta,
    unica verità non convenuta,
    dinanzi a lei s'arresta il mio sogghigno.

    Essa conforta di speranze buone
    la giovinezza mia squallida e sola;
    e l'achenio del cardo che s'invola,
    la selce, l'orbettino, il macaone,
    sono tutti per me come personae,
    hanno tutti per me qualche parola...

    Il cuore che ascoltò, più non s'acqueta
    in visïoni pallide fugaci,
    per altre fonti va, per altra meta...
    O mia Musa dolcissima che taci
    allo stridìo dei facili seguaci,
    con altra voce tornerò poeta!
    Guido Gozzano
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      L'ultima infedeltà

      Dolce tristezza, pur t'aveva seco,
      non è molt'anni, il pallido bambino
      sbocconcellante la merenda, chino
      sul tedioso compito di greco...
      Più tardi seco t'ebbe in suo cammino
      sentimentale, adolescente cieco
      di desiderio, se giungeva l'eco
      d'una voce, d'un passo femminino.
      Oggi pur la tristezza si dilegua
      per sempre da quest'anima corrosa
      dove un riso amarissimo persiste,
      un riso che mi torce senza tregua
      la bocca... Ah! veramente non so cosa
      più triste che non più essere triste!
      Guido Gozzano
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        Scritta da: Antonella Marotta

        Cocotte

        Ho rivisto il giardino, il giardinetto
        contiguo, le palme del viale,
        la cancellata rozza dalla quale
        mi protese la mano ed il confetto...

        "Piccolino, che fai solo soletto?"
        "Sto giocando al Diluvio Universale"
        Accennai gli strumenti, le bizzarre
        cose che modellavo nella sabbia,
        ed ella si chinò come chi abbia
        fretta d'un bacio e fretta di ritrarre
        la bocca, e mi baciò tra le sbarre
        come si bacia un uccellino in gabbia.

        Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto
        di quel volto tra le sbarre quadre!
        La nuca mi serrò con le mani ladre;
        ed io stupivo di vedermi accanto
        al viso, quella bocca tanto, tanto
        diversa dalla bocca di mia Madre!

        "Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
        Sei qui pei bagni? Ed affittate là?"
        Subito mi lasciò, con negli sguardi
        un vano sogno (ricordai più tardi)
        un vano sogno di maternità...

        "Una cocotte..."

        "Che vuol dire mammina?"
        "Vuo dire che è una cattiva signorina:
        non bisogna parlare alla vicina!"
        Co-co-tte... La strana voce parigina
        dava alla mia fantasia bambina
        un senso buffo d'uovo e di gallina...

        Pensavo deità favoleggiate:
        i naviganti e l'Isole Felici...
        Co-co-tte... le fate intese a malefici
        con cibi e bevande affatturate...
        Fate saranno, chi sa quali fate,
        e in chi sa quali tenebrosi offici!

        Un giorno -giorni dopo- mi chiamò
        tra le sbarre fiorite di perbene:
        "O piccolino, che non mi vuoi più bene?"
        "È vero che sei una cocotte? "
        Perdutamente rise... E mi baciò
        con le pupille di tristezza piene

        Tra le gioie defunte e i disinganni
        dopo vent'anni, oggi si ravviva
        il tuo sorriso... Dove sei, cattiva
        signorina? Sei viva? Come inganni
        (meglio per te non essere più viva!)
        la discesa terribile degli anni?

        Oimè! Da che non giova il tuo belletto
        e il cosmetico già fa mala prova
        l'ultimo amante disertò l'alcova...
        Uno, sol uno: il piccolo folletto
        che donasti d'un bacio e d'un confetto,
        dopo vent'anni, oggi, ti ritrova

        in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo!
        Da quel mattino dell'infanzia pura
        forse ho amato te sola, o creatura!
        Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
        Se leggi questi versi di richiamo
        ritorna a chi t'aspetta, o creatura!

        Vieni, Che importa se non sei più quella
        che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno,
        o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
        del tuo passato! Ti rifarò bella
        coma Carlotta, come Graziella,
        come tutte le donne del mio sogno!

        Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
        di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi.
        Non amo che le cose che potevano essere e non sono state...
        Vedo la casa; ecco le rose
        del bel giardino di vent'anni or sono!

        Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
        fra gli eucalipti liguri si spazia...
        Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
        Fa' che io riveda il tuo volto disfatto;
        ti bacerò: rifiorirà nell'atto,
        sulla tua bocca l'ultima tua grazia.

        Vieni! Sarà come se a me, per mano,
        tu riportassi me stesso d'allora,
        il bimbo parlerà con la Signora.
        Risorgeremo dal tempo lontano.
        Vieni! Sarà come se a te, per mano,
        io riportassi te, giovane ancora.
        Guido Gozzano
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La ballata dell'Uno

          L'Uno è tutto esaurito,
          non lo trova più nessuno,
          a chi dà copia dell'Uno
          un milione è profferito.

          Col più gran caffè concerto
          vien Giolitti un poco male
          per un male un poco incerto,
          vien con tutto il personale
          del Suffragio Universale.
          Ma - pagliaccio o rosso o bruno -
          tutti chiedono dell'Uno,
          l'Uno già tutto esaurito.

          Finalmente il Vaticano
          lascia il Papa ed il Concilio,
          balla il tango col sovrano
          dal garofano vermiglio.
          Tutti vanno in visibilio:
          il prelato col tribuno,
          tutti chiedono dell'Uno:
          l'Uno - ahimè - tutto esaurito!

          Trema all'Uno e terra e mare!
          La San Giorgio per isbaglio
          si rimette a galleggiare,
          perciò grato l'ammiraglio
          contro un già prossimo incaglio
          contro i tiri di Nettuno
          premunirsi vuol dell'Uno,
          l'Uno - ohimè - tutto esaurito!

          Stanco d'essere il fantoccio
          d'un insipido frasario
          grida Verdi: Alfin mi scoccio
          di cotesto centenario.
          Qui m'annoio solitario.
          Ecco il Numero. Ma l'Uno?
          L'Uno - ohimè - non l'ha nessuno,
          l'Uno è già tutto esaurito!

          Levigandosi l'alloro
          Gabriele inquieto appare:
          un mistero: il Pomo d'oro
          ben volevo ricercare
          sul rarissimo esemplare.
          Gabriele andrà digiuno;
          splende il numero, ma l'Uno,
          l'Uno è già tutto esaurito.

          Vien Mascagni truce in vista
          ché su l'Uno spera già
          e già teme un'intervista
          "Poiché io sono - ognun lo sa -
          mammoletta d'umiltà... "
          - Che voi siate un fiore o un pruno,
          gran maestro, fa tutt'uno,
          l'Uno è già tutto esaurito.

          Térésah, Carola, Amalia,
          l'altre insigni letterate,
          che oggi infiammano l'Italia,
          si presentano infiammate
          come tante forsennate:
          un prurito inopportuno
          tutte sentono dell'Uno,
          l'Uno - ohimè - tutto esaurito.

          Non resiste la Gioconda,
          balla fuori arguta e gaia
          con la sua facciona tonda
          di perfetta giornalaia.
          Cento quindici migliaia
          mi richiedono dell'Uno!
          A chi dà copia dell'Uno
          un milione è profferito.

          Oh successo inopportuno!
          L'Uno è già tutto esaurito!
          Guido Gozzano
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Ah! Difettivi sillogismi! L'io
            che c'è sì caro, muore ad ogni istante
            senza rimpianto. Muore nel riposo
            e nella veglia. Un calice di vino
            un grano d'oppio, uno sbigottimento
            una ferita, basta a dileguarlo.
            Ma ci acqueta il pensiero che al risveglio
            ritroveremo intatto e vigilante
            il buono fanciulletto interïore
            che ci ripete d'esser sempre noi...
            Ah! Fanciullesca è veramente questa
            anima semplicetta che riduce
            alla nostra stadera l'infinito;
            nutre speranze, chiede privilegi
            più spaventosi del più spaventoso
            nulla, ché il nulla è non poter morire.
            Come pensare senz'abbrividire
            tutta l'eternità chiusa nell'io
            in quest'angusto carcere terreno?
            Quasi bramosi fantolini e vani
            preghiamo un bene e non sappiamo quale.
            Quando per anni o per follia s'offusca
            l'altrui cervello, quella decadenza
            più non c'inquieta della decadenza
            corporea. Permane la speranza
            che l'io del caro sopravviva ancora
            mentre è già come se non fosse più.
            Ora se quasi ci si acqueta in vita
            allo sfacelo della mente immemore
            che mai vogliamo dalla morte immune?
            Questa cosa di noi che vuol persistere
            indefinita, è dunque indefinibile
            come il raggio ch'emana dalla lampada,
            come il suono che emana dal lïuto;
            lampada e lïuto sono tra gli arredi
            più famigliari e semplici che posso
            scomporre ricomporre con le mani;
            il mistero m'appare se mi chiedo
            che sia, di dove venga, dove vada
            il prodigio del suono e della luce...
            Oimè! L'essenza che rivibra in noi
            non può per intelletto esser compresa
            da poi che l'io solo con se stesso,
            soggetto, oggetto della conoscenza,
            come uno specchio vano si moltiplica
            inutilmente ed infinitamente
            e nel riflesso è prigioniero il raggio
            di verità che l'occhio non discerne.
            Giova quindi sottrarci all'incantesimo
            alla voce che implora di rivivere
            come a un morbo insanabile terrestre.
            Negli attimi di grazia, quando l'io
            dilegua nei pensier contemplativi
            quando l'istinto tace e si compiace
            nella gioia dell'utile non nostro
            o freme ad una strofe ad una musica
            nell'ebrezza senz'utile dell'arte,
            forse ci giunge il pallido riflesso
            d'una luce remota, della vita
            che ci attende al di là, nel puro spirito,
            nel non essere noi, nell'ineffabile.
            È la fede che Socrate morente
            predicava all'alunno: «Datti pace!
            Non morirò: seppelliranno l'altro».
            È la luce che Baghava Purana
            rivelava sul tronco del palmizio:
            «Solo eterno è lo spirito. Non piangere
            su te su me su altri. Perché l'io
            ed il non io son frutto d'ignoranza.
            Desideravi un figlio, o Re; l'avesti;
            oggi provi lo strazio del distacco,
            strazio che dànno tutte le fortune
            a chi s'illude e pensa durature
            l'apparenze caduche della vita.
            Solo eterno è lo spirito. Nei tempi
            chi fu per te quel figlio che tu piangi?
            Chi tu fosti per lui? Che voi sarete
            l'uno per l'altro nell'ignoto andare?
            Sabbia del mare, foglie date al vento...
            Solo eterno è lo spirito. Consolati».
            Ma il re singhiozza disperato ancora
            e pel prodigio d'uno di quei rishy
            l'anima si ridesta nel cadavere,
            si guarda intorno sbigottita, dice:
            «In quale delle innumeri apparenze
            d'animali, di uomini, di devhas
            m'ebbi per padre questo che m'abbraccia?
            Non mi toccare: io non ti riconosco.
            O tu che piangi su di me non piangere.
            Solo eterno è lo spirito. Consolati!».
            Così parlato il giovinetto muore
            un'altra volta. L'anima s'invola
            eternamente. E il Re non piange più.
            Guido Gozzano
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Fanciullo formidabile: soldato
              dell'Alpi e tu mi chiedi
              ch'io celebri il tuo gesto in versi miei!
              Non trovo ritmi - oimè! - non trovo rime
              così come vorrei
              al tuo gesto sublime!
              Ma sai tu quanto sia bello il tuo gesto,
              simbolica la spoglia
              dell'aquila regale che t'offerse
              l'Altissimo - redento! - a guiderdone
              della baldanza tua liberatrice?
              La vittima che dice:
              Terra d'Italia è questa!
              a consenso palese
              dei cieli sommi nella santa gesta?

              II.

              Tu non sapevi. Solo con te stesso
              e coi fratelli in una forza sola,
              sostavi sulla gola
              vertiginosa, l'anima in vedetta,
              protetto dalla vetta
              signoreggiata. Il cuore
              batteva impaziente dell'assalto.
              Il cielo era di smalto
              cerulo, nel silenzio intatto come
              quando non era l'uomo ed il dolore...
              Era il meriggio alpino,
              splendeva il sole nella valle sgombra.
              In larghe rote s'annunciò dall'alto
              l'olocausto divino,
              la messaggiera, disegnando un'ombra.

              III.

              Che pensasti nell'attimo? Colpisti.
              Bene colpisti. Il vortice dell'ale
              precipitò ventandoti sul viso.
              E l'aquila regale
              ecco immolasti sul granito alpino
              come sull'ara sacra alla riscossa
              del popolo latino.
              E la tua mano rossa
              fu del sangue ricchissimo aquilino.
              Battezzasti così la tua mano,
              nella stretta che tutti ebbero a gara,
              commentando l'augurio e la bravura,
              battezzasti così con la tua mano
              tutti i compagni tuoi,
              dal giovinetto imberbe al capitano!

              IV.

              Sarcasmo inconsapevole! E tu mandi
              oggi la spoglia a noi che con bell'arte
              le si ridoni immagine di vita;
              ma quale arte iscaltrita
              può simulare l'irto palpitare
              di penne e piume, il demone gagliardo
              tutto rostro ed artigli e grido e sguardo
              nell'ora che si scaglia?
              Nessuna sorte è triste
              in questi giorni rossi di battaglia:
              fuorché la sorte di colui che assiste...
              E - sarcasmo indicibile per noi
              scelti ai congegni ed alla vettovaglia -
              tu strappasti l'emblema degli eroi
              ed a noi mandi un'aquila di paglia!...
              Guido Gozzano
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Risveglio sul Picco d'Adamo

                Cantare udivo un gallo in sogno... Sognavo un villaggio
                canavesano forse... L'aurora improvvisa mi desta.

                Mi desta nel rifugio di stuoia sul Picco selvaggio:
                d'un tremolìo d'acquario scintilla la selva ridesta.

                Le felci arborescenti contendono i raggi all'aurora,
                dall'uno all'altro fusto s'allaccia la flora demente,

                spezzo ghirlande azzurre gialle sanguigne, m'irrora
                la coppa del calladio, l'orciuolo della nepente...

                Cantava un gallo in sogno... Ma un gallo ben vivo risponde.
                Sobbalzo. Ascolto. Il cuore col battito colma le tregue.

                Regna il Re dei cortili le vergini selve profonde?
                M'illude un negromante per gioco? Il mio sogno prosegue?

                Non il Re dei cortili qui regna, ma l'avo selvaggio
                (già cantava sul Picco d'Adamo che Adamo non era).

                Canta il «gallo bankywa» l'aurora del Tropico, il raggio
                d'oro che scende obliquo dove la jungla è più nera.
                Guido Gozzano
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Dante

                  Un giorno, al chiuso, il pedagogo fiacco
                  m'impose la sciattezza del comento
                  alternato alla presa di tabacco.

                  Mi rammento la classe, mi rammento
                  la scolaresca muta che si tedia
                  al commentare lento sonnolento;

                  rivedo sobbalzare sulla sedia
                  il buon maestro, per uno scolaro
                  che s'addormenta su di te, Comedia!

                  Attento! Attento! - Ah! più dolce sognare
                  con la gota premuta al frontispizio
                  e l'occhio intento alle finestre chiare!

                  Ad ora ad ora un alito propizio
                  alitava un effluvio di ginestre
                  sul comento retorico e fittizio.

                  La Primavera, l'esule campestre,
                  conturbava la gran pace scolastica
                  pel vano azzurro delle due finestre.

                  Io fissavo gli attrezzi di ginnastica,
                  gli olmi gemmati, l'infinito azzurro
                  in non so che perplessità fantastica;

                  e tendevo l'orecchio ad un sussurro,
                  ad un garrito di sperdute gaie,
                  in alto in alto in alto, nell'azzurro.

                  Guizzavano, da presso, l'operaie
                  affacendate in paglia in creta in piume,
                  riattando le case alle grondaie...

                  Con gli occhi abbarbagliati da quel lume
                  primaverile, mi chinavo stracco,
                  ripremevo la gota sul volume.

                  E riudivo il pedagogo fiacco
                  alternare alla chiosa d'ogni verso
                  la consueta presa di tabacco...

                  Ah! non al chiuso, ma nel cielo terso,
                  nel fiato novo dell'antica madre,
                  nella profondità dell'universo,

                  nell'Infinito mi parlavi, o Padre!
                  Guido Gozzano
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