Poesie di Gaspara Stampa

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Scritta da: Silvana Stremiz

Rime, lVIII

Deh perché non ho io l'ingegno e l'arte
di Lisippo e d'Apelle, onde potessi
il viso, che per sole al mondo elessi,
dipinger e scolpir in qualche parte,
poi che non posso ben ritrarr'in carte,
com'avrian con lo stile ritratto essi,
le mie due stelle, la cui luce impressi
pria sì nel cor, che d'indi non si parte?
Perch'io rimarrei sol con un tormento
d'amar e sospirar, e 'l cor saria
d'ogni altra cura poi pago e contento;
dov'or piango l'acerba pena mia,
e piango ch'atta a pinger non mi sento
al mondo il mio bel sol quanto devria.
Gaspara Stampa
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Se non temprasse il foco del mio core
    l'umor, che verso per gli occhi sì spesso,
    io avrei visto già di morte il messo,
    e l'alma ad ubidirla uscita fore;
    perché la speme omai cede al timore,
    ed ogni cosa mia soggiace ad esso,
    poi che si vede a mille segni espresso
    che chi può farlo vuole il mio dolore.
    Dunque, s'io vivo, è mercé del mio pianto;
    s'io moro, è colpa de le crude voglie
    del mio signor, in vista dolce tanto.
    Ei mi legò sì ch'altri non mi scioglie,
    ei vuol aver de la mia morte il vanto.
    O poco chiare ed onorate spoglie!
    Gaspara Stampa
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Beate luci, or se mi fate guerra
      voi, donde può venir sol la mia pace;
      se 'l viver mio a voi, luci alme, spiace
      e la mia vita in voi solo si serra;
      mi converrà (e chi nol crede s'erra)
      o viver sempre in guerra aspra e tenace,
      o tosto tosto l'anima fugace,
      lasciato il corpo, se n'andrà sotterra.
      E così rimarrete senza poi
      soggetto, ove possiate essercitare
      la crudeltade vostra, Amor e voi.
      Io ne verrò al fine a guadagnare;
      ché, morend'un senza peccati suoi,
      felicemente suol al ciel poggiare.
      Gaspara Stampa
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Qual sempre à miei disir contraria sorte
        fra la spiga e la man mi s'è trasmessa,
        sì che la gioia, che mi fu promessa,
        tarda tanto a venir per darmi morte?
        Le mie due vive, due fidate scorte
        il signor mio, anzi l'anima stessa,
        l'imagin, che nel cor m'è sempre impressa,
        perché non batte omai, lassa, a le porte?
        L'alma allargata a questa nova speme
        che ristretta nel duol prendea vigore,
        mancherà tosto certo, se non viene.
        E saran dè miracoli d'Amore,
        ch'un'ombra breve di sperato bene
        tolga altrui vita, e dia vita il dolore.
        Gaspara Stampa
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Se tu vedessi, o madre degli Amori,
          e teco insieme il tuo figlio diletto,
          l'accese e vive fiamme del mio petto,
          a quali altre fûr mai pari o maggiori;
          se tu vedessi i pelaghi d'umori,
          che, dapoi che 'l mio cor ti fu soggetto,
          mercé del vago e grazioso aspetto,
          per questi occhi dolenti verso fuori;
          so ch'avresti pietà del mio gran pianto
          e de la fiamma mia spietata e ria,
          che per sfogar talor descrivo e canto.
          Ma voi ferite, e poi fuggite via
          più che folgor veloci, ed io fra tanto
          resto col pianto e con la fiamma mia.
          Gaspara Stampa
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Se con tutto il mio studio e tutta l'arte
            io non posso accennar pur quanto e quale
            è 'l foco mio dal dì che 'l primo strale
            m'aventò Amor ne la sinistra parte,
            come volete voi signor, che ex parte
            l'altrui voglie amorose e l'altrui male
            con questa forza stanca e così frale
            ì dica in vive voci, o scriva in carte?
            Datemi o 'l ciel più stile o voi men pena,
            ond'abbia o più vigor o men martìre,
            sì che la vostra voglia resti piena.
            E, se ciò non si può, vostro desire
            adempiete da voi, ch'avete vena,
            stile ed ingegno eguale al vostro dire.
            Gaspara Stampa
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Cesare e Ciro, i vostri fidi spegli,
              in cui mai sempre, signor, vi mirate,
              poi ch'a seguir le lor chiare pedate
              par che ciascun di lor v'infiammi e svegli,
              perché, sì come è stato questi e quegli
              essempio di clemenzia e di pietate,
              solo in questa virtù v'allontanate
              da què due chiari ed onorati vegli?
              Perché non sète voi mite e clemente
              a me vostra prigion, vostra fattura,
              come fûr essi a l'acquistata gente?
              Anzi forse voi sète di natura
              mite con tutti, e meco solamente
              d'aspra e spietata. Oh mia somma sventura.
              Gaspara Stampa
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Sai tu, perché ti mise in mano, Amore,
                gli stral tua madre, ed agli occhi la benda?
                Perché quella saetti, impiaghi e fenda
                i cor di questo e quel fido amatore;
                e con questi non possi veder fuore
                de' colpi tuoi la crudeltà stupenda,
                sì che pietoso affatto non ti renda,
                o almen non tempri l'empio tuo furore.
                Che, se vedessi un dì la piaga mia,
                o non saresti dio, ma cruda fèra,
                o pietoso o men aspro ti faria.
                Non vorrei già che tu vedessi in cera
                i raggi del mio sol; ché ti parria
                forse a l'incontro picciola e leggera.
                Gaspara Stampa
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Per le saette tue, Amor, ti giuro,
                  e per la tua possente e sacra face,
                  che, se ben questa m'arde e 'l cor mi sface,
                  e quelle mi feriscon, non mi curo;
                  quantunque nel passato e nel futuro
                  qual l'une acute, e qual l'altra vivace,
                  donne amorose, e prendi qual ti piace,
                  che sentisser giamai né fian, né fûro;
                  perché nasce virtù da questa pena,
                  che 'l senso del dolor vince ed abbaglia,
                  sì che o non duole, o non si sente appena.
                  Quel, che l'anima e 'l corpo mi travaglia,
                  è la temenza ch'a morir mi mena,
                  che 'l foco mio non sia foco di paglia.
                  Gaspara Stampa
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto;
                    piangero, arderò, canterò sempre
                    (fin che Morte o Fortuna o tempo stempre
                    a l'ingegno, occhi e cor, stil, foco e pianto)
                    la bellezza, il valor e 'l senno a canto,
                    che 'n vaghe, sagge ed onorate tempre
                    Amor, natura e studio par che tempre
                    nel volto, petto e cor del lume santo:
                    che, quando viene, e quando parte il sole,
                    la notte e 'l giorno ognor, la state e 'l verno,
                    tenebre e luce darmi e tôrmi suole,
                    tanto con l'occhio fuor, con l'occhio interno,
                    agli atti suoi, ai modi, a le parole,
                    splendor, dolcezza e grazia ivi discerno.
                    Gaspara Stampa
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