Poesie di Alfonso Gatto

Poeta, nato sabato 17 luglio 1909 a Salerno (Italia), morto lunedì 8 marzo 1976 a Capalbio (Italia)
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Scritta da: alessia14

A vortice s'abbatte

A vortice s'abbatte
sul mio capo reclinato
un suono d'agri lazzi.
Scotta la terra percorsa
da shembe ombre di pinastri,
e al mare là in fondo fa velo
più che i rami, allo sguardo, l'afa che a tratti erompe
dal suolo che si avvena.
Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque
che s'ingorgano
accanto a lunghe secche mi raggiunge:
o è un bombo talvolta ed un ripiovere
di schiume sulle rocce.
Come rialzo il viso, ecco cessare
i tagli sul mio capo; e via scoccare
verso le strepeanti acque,
frecciate biancazzurre, due ghiandaie.
Alfonso Gatto
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    Scritta da: underdog

    Elegia

    Padre vinto nel sonno
    oscuro e lontano,
    il bambino ti sveglia con la mano.
    Ancora nato nel tuo sogno chiede
    ricordo dell'età che ti correva
    giovane agli occhi,
    mesto al sollievo della sua sembianza
    non vuole che tu creda
    la morte buia nell'eternità.
    Era così soave il cielo intorno,
    a respiro e a cadenza della sera
    tu mi portavi in braccio al sonno
    fresco di primavera.
    Forse è questo la morte, un ricordare
    l'ultima voce che ci spense il giorno.
    Alfonso Gatto
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      Scritta da: Cheope

      Il bambino di gomma

      Melampo era un bambino
      di gomma e cancellava
      i passi che segnava
      mettendosi in cammino.

      Era di gomma rossa,
      tondo come una palla,
      e stava sempre a galla
      nel bagno, e senza ossa

      dolce, tenero, buono,
      scendeva dalle scale
      senza mai farsi male
      saltando dal balcone.

      A scuola era bocciato,
      sempre il quaderno bianco!
      Eppure era il più franco
      a scrivere il dettato.

      Scriveva e poi cassava
      con la mano di gomma,
      i numeri, la somma,
      le lettere, e tornava

      a scrivere, a cassare.
      E sempre zitto rosso
      con tutti gli occhi addosso
      senza poter parlare.

      O povero Melampo!
      Un giorno, detto fatto,
      saltò su di scatto
      e si bucò la pancia.

      Fischiò come un pallone
      sgonfiato d'ogni affanno
      e visse senza danno
      tappando col bottone

      il buco della pancia.

      Visse nel tempo antico
      Melampo - ve l'ho detto? -
      Fischiò col suo fischietto
      premendosi a soffietto
      il disco all'ombelico.
      Alfonso Gatto
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        Scritta da: Cheope

        La partita di calcio

        Boccaccio era il portiere,
        il gran portiere giallo
        della squadra del quartiere.
        Stava all’erta come un gallo

        sulla porta del campetto
        alla periferia.
        Diceva: "Qua sul petto,
        ed ogni palla è mia".

        Ma quel giorno, chi lo sa,
        sbuca di qua sbuca di là
        - Boccaccio attento! - pa pa
        la palla è in rete. "Ma va,
        ma va, Boccaccio, è uno".

        Attento, di qua di là,
        passa non passa, tira.
        Boccaccio si rigira;
        si tuffa - passerà?-
        "Qui non passa nessuno",
        ma la palla è nel sacco.

        E son due. Lo smacco,
        i fischi, e poi sotto...
        "Salta a pugno, Boccaccio,
        ma non la vedi dov’è,
        salta, salta"... E son tre.

        E quattro e cinque e sei.
        - Boccaccio dove sei?-
        E sette e otto e nove
        e piove e piove e piove
        con grandine e con tuoni.  
        Quattordici palloni
        nella rete di Boccaccio
        poveretto poveraccio,
        bianco come uno straccio
        col berretto da fantino
        ubriaco senza vino.

        Quanti fischi! e poi "cretino",
        "pastafrolla", "posapiano",
        "tappabuchi", "moscardino!"
        Oh, quel povero Boccaccio
        nella furia del baccano
        si strappava i suoi capelli
        e la folla dai cancelli
        gli gridava: "Ancora, ancora".

        Tutti tutti, ad uno ad uno
        si strappò capelli e baffi
        e poi schiaffi sopra schiaffi
        si ridette per lezione.
        Restò lì con la sua testa
        tonda, liscia come palla.
        "Oh, son quindici con questa
        - gli gridò dietro la folla -
        tappabuchi, pastafrolla
        vai a guardia d’un portone!"

        E difatti il buon Boccaccio
        col berretto e col gallone,
        mani pronte e spazzolone,
        oggi è a guardia d’un portone
        dove passano persone
        che fermare egli non può,
        dieci venti cento e più.
        Alfonso Gatto
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Chiesa veneziana

          Così, da sempre, come una memoria
          che mai giunge a sbiadirsi, che mai
          perde
          la traccia immaginosa, questa storia
          di pietra e d'acqua, di laguna verde,

          tratteggiata dai neri colombari
          delle mura, da lapidi di rosa,
          s'è fatta chiesa aperta agli estuari,
          all'incrocio dei venti. Non riposa

          mai tomba che non veda la sua morte
          frangersi ancora contro il nero eterno.
          E le gondole, battono alle porte
          i lugubri mareggi dell'inverno.
          Alfonso Gatto
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Amore della vita

            Io vedo i grandi alberi della sera
            che innalzano il cielo dei boulevards,
            le carrozze di Roma che alle tombe
            dell'Appia antica portano la luna.

            Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.

            Pure, lunga la vita fu alla sera
            di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo,
            alle luci sorgenti ai campanili
            ai nomi azzurri delle insegne, il cuore
            mai più risponderà?

            Oh, tra i rami grondanti di case e cielo
            il cielo dei boulevards,
            cielo chiaro di rondini!

            O sera umana di noi raccolti
            uomini stanchi uomini buoni,
            il nostro dolce parlare
            nel mondo senza paura.

            Tornerà tornerà,
            d'un balzo il cuore
            desto
            avrà parole?
            Chiamerà le cose, le luci, i vivi?

            I morti, i vinti, chi li desterà?
            Alfonso Gatto
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La cicala

              Appare volontà quel che fu caso,
              un eterno momento,
              ma l'occhio il naso suggellò veloce
              e la bocca nel vento
              ambigua errò per voce
              che sempre può parlare.

              Questo il ritratto e questo è il mare,
              un rudere che striscia
              nel suo vecchio calore.

              Così dall'ombra mosse
              una piccola biscia
              fuggendo il suo colore.
              Apparvero le fosse
              dei morti, il grigioverde
              dei topi e dei soldati.

              Ha i minuti contati
              la morte che perde
              e moltiplica i piedi.
              Nel sole che vedi
              è il sole che langue,
              il formicaio del sangue.
              Alfonso Gatto
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