Trama del film Il grande spirito

Tonino è un ladruncolo sempre in cerca del grande colpo di fortuna: che sembra finalmente arrivare quando il bottino di una rapina, per cui lui era stato relegato al ruolo di palo, finisce fortuitamente nelle sue mani. Tonino fugge con la refurtiva sui tetti di Taranto e trova rifugio in un abbaino fatiscente abitato da uno strano personaggio: Renato, che si è dato il soprannome di Cervo Nero perché si ritiene un indiano, parte di una tribù in perenne lotta contro gli yankee. Renato, come sillaba sprezzantemente Tonino, è un "mi-no-ra-to", ma è anche l'unica àncora di salvezza per il fuggitivo, che tra l'altro si è ferito malamente cadendo dall'alto di un cantiere sopraelevato. Fra i due nascerà un'intesa frutto non solo dell'emarginazione, ma anche di un'insospettabile consonanza di vedute.

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Il claustrofobico tinellismo del cinema italiano (nello specifico: "La stazione", 1990) sfondato dalla celeste prospettiva dai tetti di Taranto: già con questa scelta Rubini liquida l'enfasi retorica e finalmente s'assiste a un gioco di contrasti. Pure l'accoppiata fra lui e Papaleo è quella di due emarginati/marginali diversi, realismo e surrealismo. "Verismo magico", uno dei migliori ossimori che si diano in estetica. Pregevoli le musiche di Ludovico Einaudi, ottimo il cast e la recitazione anche nei ruoli minori, scorrevolissima la sceneggiatura con qualche flashback, mentr'il finale è amaro, disperato, irredento, quasi una scoria melgibsoniana più nociva dell'Ilva. Oppure il sacrificio di Cervo Nero andrebbe visto secondo l'ottica della spiritualità Sioux e non eurocentrica o yankee. Poetico, lirico, emozionante.

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