Commenti a Cronaca di Flavia Ricucci


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Ho letto
vado di fretta.
:)))))))))))))
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No, Flavia, non mi faccio scrupoli. Sto attraversando un periodo difficile, caratterizzato dalla necessità di risolvere alcuni problemi di fondo della mia esistenza materiale e spirituale. Quando attraverso queste fasi, vengo a trovarmi in una sorta di stato di "nolontà", caratterizzato  dall'impossibilità di fare alcune cose che la mia mente (in maniera spesso obiettivamente immotivata) ritiene difficili. Tra di esse possono, nelle mia veste "nolitiva", rientrare le cose più svariate: dal mettere ordine sulla mia scrivania, al leggere un libro che ritengo "difficile", sino al farmi da mangiare o addirittura all'uscire di casa.
      Ora, le tue poesie rappresentano per me un cimento. Le chiamo "santuario" perché recano qualcosa di misterioso, di nascosto, che merita molto più di una lettura veloce. Quella, l'ho data; ma è servita solo per rendermi conto di essere alle prese con un codice da decifrare, piuttosto che con una "normale" lettura. Alcune sono di immediata comprensione; ma altre richiedono qualcosa, anzi molto di più: un impegno serio. Qualcosa che la mia "nolontà" del momento ha bloccato come superiore alle mie forze attuali.
     Volendo andare più a fondo, ciò che al momento mi risulta difficile è ripercorrere a ritroso il tragitto tra la semplice immediatezza del sentire (il sentire, anche se complesso, anche se folle, per sua stessa natura si manifesta sempre in maniera semplice ed immediata) e la sua trasposizione verbale. Personalmente, ho sempre oscillato tra la estrema semplicità e la più totale cripticità, quando solo quest'ultima potesse rendere l'idea della sostanziale incomunicabilità del sentito se non per immagini arazionali. Nelle tue poesie noto invece un procedimento diverso: una sorta di sforzo di nascondimento, che però devo ancora ben capire se operato solo per motivi estetici, cioè di stile, o non anche   in una sorta di intento sapienziale, per cui solo chi è degno possa scoprire la chiave di volta dell'edificio. Io non propendo per questa seconda ipotesi, ma non posso scartarla, perché tra le due mi pare, soprattutto in alcuni passaggi, la più adatta e la più interessante.
     In varie circostanze, nel corso della mia vita, diverse persone (soprattutto quelle a me molto vicine per motivi di convivenza o di amicizia o di lavoro) hanno osservato, tra il serio e il faceto che la mia "zona" era una sorta di "ufficio complicazione affari semplici". Ma questo capitava solo a chi aveva agio di osservare i semilavorati, poiché uno dei miei sforzi primari era quello di rendere il prodotto finito di estrema fruibilità e semplicità. Nelle tue poesie, invece, noto l'operazione inversa. E questo alternativamente mi inquieta e mi affascina. DEVO capirne il perché.
    Ultima cosa: di solito, la mia condizione di "nolontà" passa d'improvviso, rabbiosamente, e da sola. E solo quando passa comprendo i reali motivi che l'hanno provocata, Sicuramente, però, in questo caso non è derivata dalle tue poesie :), ma molto più probabilmente dalla mia incapacità di comprendere, insieme ad esse, tante e tante altre cose, soprattutto me stesso.
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Pino
sei + sibillino di me stessa, non ho dubbi che tu sia, da un pezzo, entrato nel  "santuario" non farti scrupoli nel dire pane al pane e vino al vino, purché non moltiplichi i pesci d'aprile, non  è sacra la poesia ma la concussione............................sì...sic..amen.
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Non temere, Flavia: lo so che sto mettendo a dura prova la tua pazienza, ma prima o poi riuscirò ad entrare nel tuo Santuario.
26
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Tina,
non merito tanto.

TVB

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