Scritto da: Mariella Buscemi
Di quella strada ricordo il filo immaginario che collocavo mentalmente tra le mattonelle strette.
Fantasticavo a fare l'equilibrista sui sogni.
Poi, pensavo a una città del mondo e agli sguardi furtivi in strada, agli incontri giocati sulla coda dell'occhio fino all'angolo dove ti volti per confermare che l'altro si sia accorto del nostro interesse e se ci stia guardando o meno a sua volta.
Se c'era la nebbia era anche meglio.
Ho sempre pensato alla strada, battuta, scavata, scorticata e ai davanzali delle finestre e alle stanze che nascondevano e quando una tenda si scostava avrei voluto rubare le storie e assistervi come al cinema. Prendevo posto su di una panchina e aspettavo chi avesse acquistato il biglietto per lo stesso spettacolo; quindici minuti netti per un cortometraggio d'autore, giusto il tempo di due sigarette una dietro l'altra.
Arrivavo fino alla stazione.
Stavo lì con l'aria di chi sta attendendo che qualcuno scenda dal treno. Magari, qualcuno mai visto. Una volta, mi venne in mente la bizzarra ipotesi di attaccarmi un cartello sul petto con il mio nome per far capire a tutti che a me piaceva anche l'amore per corrispondenza.
Arrivavo fino al mare.
C'erano sempre bambini che scorrazzavano con qualche aquilone che volava sulle loro teste e i calzoncini arrotolati fino alle ginocchia.
Io, le mie ginocchia, le immergevo in acqua, ma non andavo mai oltre a questa misura, poi uscivo e disegnavo con gli alluci sul bagnasciuga; in questo stesso modo, una volta, scrissi qualcosa che aveva a che fare con gli incontri fortuiti in strada, quando l'esistenza scorre per il corso centrale e io mi ritiravo sui marciapiedi.

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