Scritta da: Cheope

Aprile

Socchiusa è la finestra, sul giardino.
Un'ora passa lenta, sonnolenta.
Ed ella, ch'era attenta, s'addormenta
a quella voce che già si lamenta,
- che si lamenta in fondo a quel giardino.

Non è che voce d'acque su la pietra:
e quante volte, quante volte udita!
Quell'amore e quell'ora in quella vita
s'affondan come ne l'onda infinita
stretti insieme il cadavere e la pietra.

Ella stende l'angoscia sua nel sonno.
L'angoscia è forte, e il sonno è così lieve!
(Par la luce d'april quasi una neve
che sia tiepida. ) Ed ella certo deve
soffrire, vagamente, anche nel sonno.

Tutto nel sonno si rivela il male
che la corrompe. Il volto impallidisce
lentamente: la bocca s'appassisce
nel suo respiro; su le guance lisce
s'incava un'ombra... O rose, è il vostro male:

rose del sole nuovo, pur di ieri,
ch'ella recise ad una ad una (e intanto
ella era affaticata un poco, e intanto
l'acque avean su la stessa pietra il pianto
d'oggi), oggi quasi sfatte, e pur di ieri!

Ella non è più giovine. I suoi tardi
fiori effuse nel primo ultimo amore.
Fu di voluttà ebra e di dolore.
Un grido era nel suo segreto cuore,
assiduo: - Troppo tardi! Troppo tardi! -

Ella non è più giovine. Son quasi
bianchi i capelli su la tempia; sono
su la fronte un po' radi. L'abbandono
(ella è supina e immota), l'abbandono
fa sembrar morte le sue mani, quasi.

Né pure il gesto fa scendere mai
sangue all'estrenútà de le sue dita!
La tragga il sogno lungi da la vita.
Veda nel sogno almen ringiovanita
l'Amato ch'ella non vedrà piu mai.

Socchiusa è la finestra, sul giardino.
Un'ora passa lenta, sonnolenta.
Non altro s'ode, ne la luce spenta,
che quella voce che giù si lamenta,
- che si lamenta in fondo a quel giardino.

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