Scritta da: Alberto Iess

Lo stupro di Aghanaskar

Veli insozzati dai calici,
il mantra dello scorpione
biascicato come supplizio.
Bugiarda, Aghi, bugiarda.
La scalinata pel tuo vessillo
s'è ulcerata al grido di duna,
e i gradini han abbracciato
la secchezza della sabbia.
Ora è tardi: non alla sera,
non sotto le labbra di Virgo.
Respira, questi profumi,
quest'armature, l'ovunque.
Il povero cigno dibatte
l'ali appesantite dall'alghe,
ma invecchia nello stagno
coi piccoli, pallida tenebra.
E tu, delle tue ali, che ne farai?
E tu, madre del tuo rimorso,
come credi l'abbandonerai?

Ma la notte è paziente,
e l'alba spesso temporeggia
sotto spesse cortine di nubi.
E l'attesa, tra tutte le funi,
è la più fragile umana velleità.
Così, mentre la luna nuova
è troppo giovane per capire,
e il sole tarda a rinvenire,
ci immergiamo con languore
in una selvatica danza,
per dipinger col deserto
la voluttà dell'universo.
Non c'è pace per noi, Aghi;
non dopo aver assorbito
dal cuor leggiadro del vespro,
gli intimi aromi delle nostre
essenze. Stanotte spariamo.

Il poeta è morto,
la poesia esiliata.
Figlie dello stupro,
liriche d'assenzio.

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