Poesie di Ugo Foscolo

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Scritta da: Silvana Stremiz

La coltura

Non de' cantati secoli
Invidio i giorni aurati:
Purché tu il voglia, vivere
Potremo i dì beati.
     Tu m'ami, io t'amo; un docile
Legame ambo ci annoda;
Tu me non credi instabile,
Da te non temo io froda.
     Così gioia con Melide
Il Pastorello un giorno
Clio per sentiero incognito
La trasse a rio soggiorno.
     Ma deh! ch'il puoi, l'immagini
Lascia di moda, e ognora
Sol di piacer desidera
A chi solo t'adora.
     Bella tu sei, più candida
Non fin che tu sia mai,
S'anco ti desse Cinzio
I fulgidi suoi rai.
     D'Amor, di Fe, di Venere
Antica è pur la face,
Ma nuova è ancor che amabile,
E nuovo è ciò che piace.
     Mentre, il cantor di Cintia
Seco ad amar l'invita,
Le dice.- Amor è semplice,
Odia beltà mentita.
     Negletta è ver, ma lucida
La chioma è di Nerea;
Tu incolta sembri Pallade,
Colta non sembri Dea.
     Cresce la rosa, e innostrasi
Fresca da sè soltanto;
Più dolce è senza artefice
Degli augellini il canto.
     Pari alla Dive olimpie
Elena ergea la chiome,
Ma ognor fra gli uomin d'Elena
Vive esecrato il nome.
     Non perch'io tema o tenera
Amica, di tua fede:
In sì bel volto ingenuo
La purità risiede.
     Risiede sì; ma candida
Di fregio altro non cura;
Ed ha ragion, ché vendica
I dritti suoi natura.
Ugo Foscolo
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    All'amica incerta

    Ferma, che fai? l'incauto
    Piede ritira, e ascolto
    Porgi ad un labbro ingenuo
    Fino ch'il giogo hai sciolto.
         Non fremi ancor? Ahi misera!
    Il precipizio è aperto;
    Mira lo scritto ferreo:
    Alto infortunio e certo
         Già semi-spenta lampada
    Luce all'orror funèbre,
    E mostra assai più orribili
    L'orribili tenèbre.
         Romito è il duol; le lagrime
    Grondano ognor dirotte,
    E sol fra veglie scorrono
    L'ombre d'odiata notte.
         Di', che farai? Già echeggiano
    Le tombe, e i santi altari
    Sol di singulti flebili,
    Solo di voti amari.
         Regna il digiuno; ei stringere
    Aspro flagel tu vedi;
    Pur disperato e languido
    Geme dell'are ai piedi.
         Gemi tu pure; e il gemito
    Ch'a me su l'alma piomba,
    Ah! t'aprirà cinerea
    Troppo immatura tomba.
         Se or non ti penti, ahi misera!
    Fia il pentimento tardo;
    Odi, tel dice squallida
    L'amica d'Abelardo.
         Vedi Eloisa: assidesi
    Su scanno nero e scabro,
    E bevo le sue lagrime
    Collo sfiorito labro.
         Abbi rispetto, o infausto
    Amor, abbi rispetto
    A quel tetro silenzio
    Che mi dilania il petto:
         Ella sì grida; e tacita
    Prende la penna in mano,
    E alfine ardisce scrivere
    Ad amator profano.
         Ah scrivi! ah scrivi! un barbaro
    Non è dell'alme Dio,
    Te involontaria vittima
    L'altrui barbarie offrio.
         Sull'ara augusta e candida
    Arse l'incenso impuro;
    Tremàr i cerei e il tempio
    A quel tremendo giuro.
         Ma tu, Eloisa tenera,
    No, non temer; conosco
    D'un cor sforzato a piangere
    Dio le proterve angosce.
          Tema flagello vindice
    Chi sè spontaneo gli offre,
    E gli ermi dì funerei
    Con pago cor non soffre.
         Ecco il tuo fato; in braccio
    Per sempre a lui ti getta,
    Ma di'? vedrai tu intrepida
    L'affanno che t'aspetta?
         Riedi e ne godi: o il debile
    Tuo collo al giogo appresta;
    Ma trema; Iddio si vendica
    Del cor che lo calpesta
    Ugo Foscolo
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il ritratto

      O tu, cui gli anni rosei
      Sono dai vezzi adorni,
      Cui dell'etade arridono
      I più beati giorni,
      Desii veder l'immagine
      Del tuo lontano amico?
      Odi i miei versi ingenui,
      Chè sempre il ver io dico.
      A me, gentile, amabile
      Volto non diè natura,
      Ma diemmi invece un'anima
      Tenera, fida e pura.
      E diemmi invece un fervido
      Cor, cui non sono ignoti
      D'amore e d'amicizia
      I più soavi moti.
      E diemmi un estro rapido
      Che carmi ai labbri inspira,
      Per cui non è tra l'ultime
      Quest'amorosa lira.
      Ma a te, fanciulla ainabile,
      Questo non basta, è vero,
      Non basta ai guardi cupidi
      L'animator pensiero.
      Sì, bella amica, a pingermi
      Destro verrà pittore,
      Ma potrà far che ispirino
      Dolce quest'occhi amore?
      E le mie guance giovani
      Da pelo ancor non tinte,
      D'amore con l'ingenuo
      Rossor saran distinte?
      Saprà ritrar l'effigie
      Viva del volto mio
      Allor che il seno m'agita
      Per te di Pafo il Dio?
      E saprà far che dicano,
      Tacendo, i labbri miei
      Che tu mi piaci, e ch'unica
      Dea del mio cor tu sei?
      Ah no, nol può! La rodia
      Arte à miei carmi cede;
      Che amor l'agguaglia e supera
      Ella medesma il vede.
      Te pinsi, o bella; e il candido
      Volto ognor stammi al fianco;
      Nè mai, qual te, l'immagine
      Mai di mirar son stanco.
      Te pinsi; e i labbri, e i lucidi
      Lumi, e le trecce bionde;
      Lor parlo; e tosto il turgido
      Bel labbro tuo risponde.
      Di Tejo il vate pingere
      Volle la bella amica,
      Commise a industre artefice
      Sì genïal fatica;
      Ma che? Conobbe ei subito
      Lei nel dipinto aspetto,
      Ma udir non fu possibile
      Dai finti labbri un detto.
      Ugo Foscolo
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        A Venere

        E te, leggiadra Venere,
        Te canteremo ancora,
        O Dea, più fresca e rosea
        Della serena Aurora;
        Te, cui le Grazie morbide
        Sieguon coi biondi Amori,
        Te, che tra Giuno e Pallade
        Avesti i primi onori.
        Ma non avrai di giubilo
        Canti, vezzosa Dea;
        Suoni giocosi ed ilari
        La cetra un dì spargea;
        Or già non più: ché scorsero
        Què sì beati giorni,
        Sacri ad amor purissimo,
        Da mutua pace adorni.
        Me di fanciulla instabile
        Arde l'incerta fede;
        Mal possono le lagrime
        Di cui le bagno il piede.
        A te ricorro io supplice,
        O tra la belle bella;
        Almen tu, piega l'anima
        Della mia rea donzella.
        Te di Neera il tenero
        Cantor chiamar solea,
        Quando fra voti flebili
        All'are tue sedea;
        E con fragranti aromati,
        Con fiori al suol, dispersi
        Su la gemente cetera
        A te innalzava i versi.
        L'aitasti, o Dea? Le lagrime
        Tergesti a lui pietosa?
        Tornò per te a quel misero
        La ninfa sua ritrosa?
        Ah no! Tu, Diva idalia,
        Che in ogni dove imperi
        Su l'infelice giovane
        Giravi i lumi alteri.
        Né Adon membrasti, e i gemiti,
        E il ripercosso petto,
        Allor che in sé porgeati
        Dè mali suoi l'aspetto,
        Te pure Amor con l'aureo
        Dardo, te pur ferìo;
        Lo sa il tuo cor medesimo
        Quanto è tiran quel Dio.
        Pianti d'amor sgorgarono
        Dal tuo beante ciglio;
        Eppur, ch'il crede? Piacquero
        Quei pianti al crudo figlio
        Pietà, gran Dea: d'un misero
        aleggia i tristi affanni,
        Che di sua, età più florida
        Consacra a te i begli anni.
        Pietà! - La mesta effigie
        Del volto mio tu mostra,
        Tra le sognate immagini
        A la fanciulla nostra.
        Fà che il suo cor le palpiti
        Con moto non più inteso;
        Fà che di fiamma ingenua
        Sentasi il core acceso.
        Ah! se da quel di porpora
        Labbro suonar io sento,
        T'amo, per me nettareo
        Per me beato accento;
        Sacerdotessa, o Venere,
        Sempre farò che sia
        Attenta ai tuoi misterii
        Questa fanciulla mia.
        Ugo Foscolo
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          I. Alla bellezza.

          O tu, cui dolce imperio
          Sa i cor natura diede,
          Bionda beltà, cui servono
          Tenero Amore e Fede,
               De' versi miei spontanei
          Accetta ingenuo dono,
          Se a te i miei versi piacciono
          Anch'io poeta or sono.
               D'un tuo sorriso roseo
          Irraggia i canti miei,
          Che i tuoi sorrisi beano
          Fin su l'Olimpo i Dei.
               Tu di leggiadra vergine
          Splendi negli occhi vaghi,
          Donde con dardi amabili
          Soavemente impiaghi;
               E tu sul labbro armonico,
          O Dea, vi stai scolpita,
          Che mentre accenti modula
          A sospirare invita.
               Ancelle tue ti sieguono
          Le linde Grazie, e stanno
          TuttE su un braccio latteo
          Con cui tu tessi inganno;
               Inganno tessi; e all'anima
          D'un giovanetto amante
          Rendi più dolce e tenero
          Il vezzo più incostante.
               Ma, o bionda Dea, se furono
          A te miei spirti avvinti,
          Se i miei versi cantarono
          Da' tuoi color dipinti;
               Pietà d'un Vate: al misero
          Gli arde fanciulla il seno;
          Fa' ch'ella sia più stabile,
          O men vezzosa almeno.
               Vola ne' dì purpurei
          Il garzoncel di Flora;
          Vieni, ella dice, o Zefiro,
          In braccio a chi t'adora;
                Vieni.... Ma sordo e celere
          Ei fugge, e non l'ascolta;
          Quando a lui piace è libero,
          E la catena ha sciolta.
               Ahi che pur scioglie il laccio
          Questa tiranna mia;
          Ama; ma impune fuggesi
          D'amor s'ella il desia.
               Lasso! ch'io pur desidero
          Fuggir da' lacci suoi,
          Ma tu, Beltade amabile,
          Tu consentir non vuoi
          Ugo Foscolo
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Principio del paradiso perduto

            Dell'uom la prima inobbedienza e il frutto
            Dell'arbore vietata, onde l'assaggio
            Diede noi tutti a morte e all'infinite
            Miserie, lungo dal perduto Edenne,
            Finché l'uomo divino alle beate
            Perdute sedi redentor ne assunse,
            Canta, o Musa celeste! E tu in Orebbo,
            E tu del Sinai sul secreto giro
            Già spiravi il pastori che...
            Ugo Foscolo
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il mio tempo

              ODE.

              Chi medita fra 'l tacito
              Saggio orrore di grotte,
              E di Giob su le pagine
              Tragge vigile nette,
              E chi in ribrezzo fugge
              Donde la colpa rugge?

                   Guai guai! d'ira e giustizia
              Il Lione passeggia,
              Le zampe e i labbri insanguina
              Entro splendida reggia, 10
              E all'universo folle
              Un regicidio estolle.

                   Tutto imperversa: ingemina
              Il nitrir de' cavalli,
              Mentre fra bronzi orrisoni
              Rimbombano i timballi,
              E infuriata guerra
              Cittadi sfianca e atterra

                   Ma qual candida Vergine
              In puro ammanto ascosa
              Fra gli orrori dell'eremo
              In grembo a Dio riposa,
              E il volto ingenuo copre
              Rimpetto a orribil opre!

                   Vien meco, o Eletta, a piangere
              Il soqquadrato mondo,
              Ch'ode gli eterei fulmini,
              E corre furibondo
              A trar suoi giorni eterni
              Ne' spalancati averni:

                   Vieni; e stringendo in lagrime
              L'insanguinata Croce,
              A Dio manda fra 'l gemito
              Pietosa innocua voce,
              Mentr'io per l'erbe intanto
              Di terror spargo un canto.

                   Vedilo! È Dio che l'aere
              Sol con un braccio occupa,
              Ed accigliato spazia
              Entro tuonante e cupa
              Carca di piaghe nube,
              Mentre ai fulmini jube.

                   Forse avverrà che al flebile
              Suono di tue parole
              A noi s'apra più splendido
              Di sua pietade il sole,
              E dall'olimpio trono
              Spanda mite perdono.

                   Già di sterminio l'Angelo
              Su Morte accavalcato
              Punìa dell'empia Ninive
              Il delitto ostinato;
              Già vibrava furente
              Su lei brando rovete;

                   Ma al suol sparsa di cenere
              Penitenza prostrosse,
              E squallida di Jehova
              L'augusta ira rimosse,
              Ed arrestò la mano
              Al feritor sovrano.
              Ugo Foscolo
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