Le migliori poesie di Gabriele D'Annunzio

Scrittore, poeta, drammaturgo, aviatore, politico e patriota, nato giovedì 12 marzo 1863 a Pescara (Italia), morto martedì 1 marzo 1938 a Gardone Riviera (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Elisabetta

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude

novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.

Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.

E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.

E immersi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.

Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
Gabriele D'Annunzio
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    Scritta da: Cheope

    Aprile

    Socchiusa è la finestra, sul giardino.
    Un'ora passa lenta, sonnolenta.
    Ed ella, ch'era attenta, s'addormenta
    a quella voce che già si lamenta,
    - che si lamenta in fondo a quel giardino.

    Non è che voce d'acque su la pietra:
    e quante volte, quante volte udita!
    Quell'amore e quell'ora in quella vita
    s'affondan come ne l'onda infinita
    stretti insieme il cadavere e la pietra.

    Ella stende l'angoscia sua nel sonno.
    L'angoscia è forte, e il sonno è così lieve!
    (Par la luce d'april quasi una neve
    che sia tiepida. ) Ed ella certo deve
    soffrire, vagamente, anche nel sonno.

    Tutto nel sonno si rivela il male
    che la corrompe. Il volto impallidisce
    lentamente: la bocca s'appassisce
    nel suo respiro; su le guance lisce
    s'incava un'ombra... O rose, è il vostro male:

    rose del sole nuovo, pur di ieri,
    ch'ella recise ad una ad una (e intanto
    ella era affaticata un poco, e intanto
    l'acque avean su la stessa pietra il pianto
    d'oggi), oggi quasi sfatte, e pur di ieri!

    Ella non è più giovine. I suoi tardi
    fiori effuse nel primo ultimo amore.
    Fu di voluttà ebra e di dolore.
    Un grido era nel suo segreto cuore,
    assiduo: - Troppo tardi! Troppo tardi! -

    Ella non è più giovine. Son quasi
    bianchi i capelli su la tempia; sono
    su la fronte un po' radi. L'abbandono
    (ella è supina e immota), l'abbandono
    fa sembrar morte le sue mani, quasi.

    Né pure il gesto fa scendere mai
    sangue all'estrenútà de le sue dita!
    La tragga il sogno lungi da la vita.
    Veda nel sogno almen ringiovanita
    l'Amato ch'ella non vedrà piu mai.

    Socchiusa è la finestra, sul giardino.
    Un'ora passa lenta, sonnolenta.
    Non altro s'ode, ne la luce spenta,
    che quella voce che giù si lamenta,
    - che si lamenta in fondo a quel giardino.
    Gabriele D'Annunzio
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      Scritta da: Cheope
      Parola che l'amor da la rotonda
      bocca mi versa come unguenti e odori;
      Parola che da l'odio irrompi fuori
      fischiando come sasso da la fionda;

      sola virtù che da la carne immonda
      alzi gli spinti e inebri di fulgori;
      o seme indistruttibile né cuori,
      Parola, o cosa mistica e profonda;

      ben io so la tua specie e il tuo mistero
      e la forza terribile che dentro
      porti e la pia soavità che spandi;

      ma fossi tu per me fiume tra i grandi
      fiumi più grande, e limpido nel centro
      de la Vita recassi il mio pensiero!
      Gabriele D'Annunzio
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        Scritta da: Cheope

        I poeti

        Il sogno d'un passato lontano, d'una ignota
        stirpe, d'una remota
        favola nei Poeti luce. Ai Poeti oscuro
        è il sogno del futuro.
        Qual contro l'aure avverse una chioma divina,
        una fiamma divina,
        tal ne la vita splende
        l'Anima, si distende,
        in dietro effusa pende.

        Ospiti fummo (O tu che m'ami: ti sovviene?
        Era ne le tue vene
        il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria.
        Nativa è la memoria
        in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri
        come tangibili astri,
        dei misteri veduti,
        degli amori goduti,
        degli aromi bevuti.

        In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi? Quale
        fu ne l'ora mortale
        il nostro Dio? Da quale portentosa ferita
        esalammo la vita?
        Forse dopo una strage di eroi? Sotto il profondo
        ciel d'un letto profondo?
        Le nostre spoglie fiera
        custodì la Chimera
        ne la purpurea sera.

        E al risveglio improvviso dal sonno secolare
        noi vedemmo raggiare
        un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti;
        udimmo tutti i pianti
        umani, tutti i pianti umani che la Terra
        nel suo cerchio rinserra.
        Udimmo tutti i vani
        gemiti e gli urli insani
        e le bestemmie immani.

        Udimmo taciturni la querela confusa.
        Ma ne l'anima chiusa
        l'antichissimo sogno, che fluttuava ancòra,
        ebbe una nuova aurora.
        E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando
        quella morte, cantando
        dei misteri veduti,
        degli amori goduti,
        degli aromi bevuti.

        Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro
        è il sogno del futuro.
        Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo,
        o Fato, rivivremo?
        Quando i Poeti al mondo canteranno su corde
        d'oro l'inno concorde:
        - O voi che il sangue opprime,
        Uomini, su le cime
        splende l'Alba sublime!
        Gabriele D'Annunzio
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          Scritta da: Cheope

          Il vento scrive

          Su la docile sabbia il vento scrive
          con le penne dell'ala; e in sua favella
          parlano i segni per le bianche rive.

          Ma, quando il sol declina, d'ogni nota
          ombra lene si crea, d'ogni ondicella,
          quasi di ciglia su soave gota.

          E par che nell'immenso arido viso
          della pioggia s'immilli il tuo sorriso.
          Gabriele D'Annunzio
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            Scritta da: Cheope

            Autunno

            Autunno, che negli occhi suoi specchiasti
            e nel mar taciturno il tuo fulvo oro
            - tutte le acque un immobile tesoro
            parvero, e gli occhi più del mare vasti -,

            Autunno, io non sentii mai così forte
            la tristezza che tu solo diffondi
            - quante di me né tuoi boschi profondi
            son cose morte tra le foglie morte!

            Come ieri. Fu ieri la suprema
            tristezza e fu l'amor supremo. Ah mai,
            ne l'ore più segrete, mai l'amai
            come ieri. Ancor l'anima ne trema.

            Ella taceva, chiusa ne la nera
            tunica dove sparsi erano fiori
            pallidi, Autunno, come i tuoi che indori
            sul vano stelo; e, china a la ringhiera,

            guardava il golfo solitario, china
            come colei che un peso immane aggrava.
            - Ombra de la sua fronte! - O non guardava
            forse dentro di sé la sua ruina?

            Forse. Non domandai. Ma così piena-
            mente a lei rispondean tutte le cose
            visibili, apparenze dolorose
            d'anime involte ne la stessa pena,

            che io credetti vedere il suo dolore
            in quelle forme, vivere in un mondo
            espresso intero dal suo cuor profondo,
            irradiato da quel solo cuore;

            e fu per me ciascuna forma un segno
            che svelava un mistero: quasi un muto
            verbo; e più nulla fu disconosciuto,
            anche per me, ne l'infinito regno.
            Gabriele D'Annunzio
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              Scritta da: Marco Bertazzoli

              L'Onda

              Nella cala tranquilla
              scintilla,
              intesto di scaglia
              come l'antica
              lorica
              del catafratto,
              il Mare.
              Sembra trascolorare.
              S'argenta? S'oscura?
              A un tratto
              come colpo dismaglia
              l'arme, la forza
              del vento l'intacca.
              Non dura.
              Nasce l'onda fiacca,
              sùbito s'ammorza.
              Il vento rinforza.
              Altra onda nasce,
              si perde,
              come agnello che pasce
              pel verde:
              un fiocco di spuma
              che balza!
              Ma il vento riviene,
              rincalza, ridonda.
              Altra onda s'alza,
              nel suo nascimento
              più lene
              che ventre virginale!
              Palpita, sale,
              si gonfia, s'incurva,
              s'alluma, propende.
              Il dorso ampio splende
              come cristallo;
              la cima leggiera
              s'arruffa
              come criniera
              nivea di cavallo.
              Il vento la scavezza.
              L'onda si spezza,
              precipita nel cavo
              del solco sonora;
              spumeggia, biancheggia,
              s'infiora, odora,
              travolge la cuora,
              trae l'alga e l'ulva;
              s'allunga,
              rotola, galoppa;
              intoppa
              in altra cui 'l vento
              diè tempra diversa;
              l'avversa,
              l'assalta, la sormonta,
              vi si mesce, s'accresce.
              Di spruzzi, di sprazzi,
              di fiocchi, d'iridi
              ferve nella risacca;
              par che di crisopazzi
              scintilli
              e di berilli
              viridi a sacca.
              O sua favella!
              Sciacqua, sciaborda,
              scroscia, schiocca, schianta,
              romba, ride, canta,
              accorda, discorda,
              tutte accoglie e fonde
              le dissonanze acute
              nelle sue volute
              profonde,
              libera e bella,
              numerosa e folle,
              possente e molle,
              creatura viva
              che gode
              del suo mistero
              fugace.
              E per la riva l'ode
              la sua sorella scalza
              dal passo leggero
              e dalle gambe lisce,
              Aretusa rapace
              che rapisce la frutta
              ond'ha colmo suo grembo.
              Sùbito le balza
              il cor, le raggia
              il viso d'oro.
              Lascia ella il lembo,
              s'inclina
              al richiamo canoro;
              e la selvaggia
              rapina,
              l'acerbo suo tesoro
              oblìa nella melode.
              E anch'ella si gode
              come l'onda, l'asciutta
              fura, quasi che tutta
              la freschezza marina
              a nembo
              entro le giunga!

              Musa, cantai la lode
              della mia Strofe Lunga.
              Gabriele D'Annunzio
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                Scritta da: Impenitente

                Sopra un erotik

                Voglio un amore doloroso, lento,
                che lento sia come una lenta morte,
                e senza fine (voglio che più forte
                sia de la morte) e senza mutamento.

                Voglio che senza tregua in un tormento
                occulto sian le nostre anime assorte;
                e un mare sia presso a le nostre porte,
                solo che pianga in un silenzio intento.

                Voglio che sia la torre alta granito,
                ed alta sia così che nel sereno
                sembri attingere il grande astro polare.

                Voglio un letto di porpora, e trovare
                in quell'ombra giacendo su quel seno,
                come in fondo a un sepolcro l'Infinito.
                Gabriele D'Annunzio
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                  Scritta da: Cheope

                  I Pastori

                  Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
                  Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
                  lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
                  scendono all'Adriatico selvaggio
                  che verde è come i pascoli dei monti.

                  Han bevuto profondamente ai fonti
                  alpestri, che sapor d'acqua natia
                  rimanga né cuori esuli a conforto,
                  che lungo illuda la lor sete in via.
                  Rinnovato hanno verga d'avellano.

                  E vanno pel tratturo antico al piano,
                  quasi per un erbal fiume silente,
                  su le vestigia degli antichi padri.
                  O voce di colui che primamente
                  conosce il tremolar della marina!

                  Ora lungh'esso il litoral cammina
                  La greggia. Senza mutamento è l'aria.
                  Il sole imbionda sì la viva lana
                  che quasi dalla sabbia non divaria.
                  Isciacquio, calpestio, dolci romori.

                  Ah perché non son io cò miei pastori?
                  Gabriele D'Annunzio
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Le mani

                    Le mani delle donne che incontrammo
                    una volta, e nel sogno, e ne la vita:
                    oh quelle mani, Anima, quelle dita
                    che stringemmo una volta, che sfiorammo
                    con le labbra, e nel sogno, e ne la vita!
                    Fredde talune, fredde come cose
                    morte, di gelo (tutto era perduto):
                    o tiepide, parean come un velluto
                    che vivesse, parean come le rose:
                    rose di qual giardino sconosciuto?
                    Ci lasciaron talune una fragranza
                    così tenace che per una intera
                    notte avemmo nel cuore la primavera;
                    e tanto auliva la soligna stanza
                    che foresta d'april non più dolce era.
                    Da altre, cui forse ardeva il fuoco estremo
                    d'uno spirto (ove sei, piccola mano,
                    intangibile ormai, che troppo piano
                    strinsi? ), venne il rammarico supremo:
                    - Tu che m'avesti amato, e non in vano! -
                    Da altre venne il desìo, quel violento
                    Fulmineo desio che ci percote
                    come una sferza; e immaginammo ignote
                    lussurie in un'alcova, un morir lento:
                    - per quella bocca aver le vene vuote! -
                    Altre (o le stesse) furono omicide:
                    meravigliose nel tramar l'inganno.
                    Tutti gli odor d'Arabia non potranno
                    Addolcirle. - Bellissime e infide,
                    quanti per voi baciare periranno! -
                    Altre (o le stesse), mani alabastrine
                    ma più possenti di qualunque spira,
                    ci diedero un furor geloso, un'ira
                    folle; e pensammo di mozzarle al fine.
                    (Nel sogno sta la mutilata, e attira.
                    Nel sogno immobilmente eretta vive
                    l'atroce donna dalle mani mozze.
                    E innanzi a lei rosseggiano due pozze
                    di sangue, e le mani entro ancora vive
                    sonvi, neppure d'una stilla sozze).
                    Ma ben, pari a le mani di Maria,
                    altre furono come le ostie sante.
                    Brillò su l'anulare il diamante
                    né gesti gravi della liturgia?
                    E non mai tra i capelli d'un amante.
                    Altre, quasi virili, che stringemmo
                    forte e a lungo, da noi ogni paura
                    fugarono, ogni passione oscura;
                    e anelammo a la Gloria, e in noi vedemmo
                    illuminarsi l'opera futura.
                    Altre ancora ci diedero un profondo
                    brivido, quello che non ha l'uguale.
                    Noi sentimmo, così, che ne la frale
                    palma chiuder potevano esse un mondo
                    immenso, e tutto il Bene e tutto il Male:
                    Anima, e tutto il Bene e tutto il Male.
                    Gabriele D'Annunzio
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