Le migliori poesie di Federico García Lorca

Poeta e drammaturgo, nato domenica 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros (Spagna), morto mercoledì 19 agosto 1936 a Alfacar (Spagna)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Frasi per ogni occasione.

Il mio cuore oppresso
con l'alba avverte
il dolore del suo amore e il sogno delle lontananze.
La luce dell'aurora porta
rimpianti a non finire
e tristezza senza occhi
del midollo dell'anima.
Il sepolcro della notte
distende il nero velo
per nascondere col giorno
l'immensa sommità stellata.
Che farò in questi campi
cogliendo nidi e rami,
circondato dall'aurora
e con un'anima carica di notte!
Che farò se con le chiare luci
i tuoi occhi sono morti
e la mia carne non sentirà
il calore dei tuoi sguardi!

Perché per sempre ti ho perduta
in quella chiara sera?
Oggi il mio petto è arido
come una stella spenta.
Federico García Lorca
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Eclissi

    Casida delle colombe oscure

    Sui rami dell'alloro
    camminano due colombe oscure.
    L'una era il sole,
    l'altra la luna.
    "Casigliane mie," chiesi,
    "dove sta la mia sepoltura?"
    "Nella mia coda", disse il sole.
    "Nella mia gola", disse la luna.
    Ed io che andavo camminando
    con la terra alla cintola
    vidi due aquile di neve
    e una ragazza nuda.
    L'una era l'altra
    e la ragazza era nessuna.
    "Care aquile, " chiesi,
    "dove sta la mia sepoltura?"
    "Nella mia coda", disse il sole.
    "Nella mia gola", disse la luna.
    Sui rami dell'alloro
    vidi due colombe nude.
    L'una era l'altra
    ed entrambe nessuna.
    Federico García Lorca
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Eclissi

      Alba

      Mi corazón oprimido
      siente junto a la alborada
      el dolor de sus amores
      y el sueño de las distancias.
      La luz de la aurora lleva
      semillero de nostalgias
      y la tristeza sin ojos
      de la médula del alma.
      La gran tumba de la noche
      su negro velo levanta
      para ocultar con el día
      la inmensa cumbre estrellada.

      ¡Què harè yo sobre estos campos
      cogiendo nidos y ramas,
      rodeado de la aurora
      y llena de noche el alma!
      ¡Què harè si tienes tus ojos
      muertos a las luces claras
      y no ha de sentir mi carne
      el calor de tus miradas!

      ¿Por què te perdì por siempre
      en aquella tarde clara?
      Hoy mi pecho està reseco
      como una estrella apagada.
      Federico García Lorca
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Anna Alleva

        Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

        Non voglio vederlo!
        Di' alla luna che si mostri;
        non voglio vedere il sangue
        d'Ignazio sopra l'arena.
        Non voglio vederlo!
        È spalancata la luna.
        Cavallo di calme nubi
        e circo grigio del sogno
        con salici in prima fila.
        Non voglio vederlo!
        Il mio ricordo si brucia.
        Avvisate i gelsomini
        di minuscolo candore!
        Non voglio vederlo!
        La vacca del vecchio mondo
        passava la triste sua lingua
        sopra un muso di grumi
        di sangue in terra versato.
        Ed i tori di Guisando,
        quasi morte e quasi pietra,
        mugghiaron come due secoli
        sazi di premere il suolo.
        No.
        Non voglio vederlo!
        Sale Ignazio sui gradini,
        tutta la sua morte a spalla.
        Andava in cerca dell'alba
        e l'alba non esisteva.
        Cerca il suo fermo profilo
        e il sogno lo disorienta.
        Il suo bel corpo cercava
        e trovò il suo sangue aperto.
        Non ditemi di vederlo!
        Non voglio sentire il getto
        che sempre più s'affioca;
        il getto che le tribune
        illumina e si riversa
        sopra il fustagno ed il cuoio,
        della folla sitibonda.
        Chi mi grida di mostrarmi!
        Non ditemi di vederlo.
        Non si chiusero i suoi occhi
        nel vedersi lì le corna;
        ma le terribili madri
        rizzarono allora il capo.
        Ed attraverso gli allevamenti
        corse un vento di voci segrete,
        a tori celesti gridate
        da mandriani di pallida nebbia.
        Non principe di Siviglia
        potrebbe essergli pari,
        né spada come la sua
        né cuore del suo più vero.
        Come un fiume di leoni
        il suo stupendo vigore,
        e come un torso di marmo
        la sua lineata saggezza.
        Aria di Roma andalusa
        gli dorava la testa
        dove il suo riso era un nardo
        di sale e d'intelligenza.
        Che gran torero in arena!
        Che buon montanaro ai monti!
        Quanto mite con le spighe!
        Quanto duro con gli sproni!
        Tenero con la rugiada!
        Che bagliore nella fiera!
        Quanto tremendo con l'ultime
        banderillas della tenebra!
        Ma ora dorme in eterno.
        Ora i muschi e l'erba dischiudono
        con loro dita sicure
        il fiore del suo teschio.
        E il suo sangue ora viene cantando:
        cantando per maremme e praterie,
        sdrucciolando su corna intirizzite;
        senz'anima vacilla nella nebbia.
        In migliaia di zoccoli inciampando
        come una lunga, oscura, triste lingua,
        per formare una pozza d'agonia
        presso il Guadalquivir del firmamento.
        Oh bianco muro di Spagna!
        Oh nero toro di pena!
        Oh sangue duro d'Ignazio!
        Oh usignolo delle sue vene!
        No.
        Non voglio vederlo!
        Un calice non v'è che lo contenga,
        non vi son rondinelle che lo bevano,
        non v'è brina di luce che lo geli,
        non di gigli v'è canto né diluvio,
        non cristallo che lo copra d'argento.
        No.
        Io non voglio vederlo!
        Federico García Lorca
        Vota la poesia: Commenta