Chi sono? (Da poemi)

Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
follìa.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
malinconia.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
nostalgìa.
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio core,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
Aldo Palazzeschi
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Davide Bidin

    Comare Coletta

    "Saltella e balletta
    comare Coletta!
    Saltella e balletta!"

    Smagrita, ricurva, la piccola vecchia
    girando le strade saltella e balletta.
    Si ferma la gente a guardarla,
    di rado taluno le getta denaro;
    saltella più lesta la vecchia al tintinno,
    ringrazia provandosi ancora
    di reggere alla piroetta.
    Talvolta ella cade fra il lazzo e le risa:
    nessuno le porge la mano.

    "Saltella e balletta
    comare Coletta!
    Saltella e balletta!"

    – La tua parrucchina, comare Coletta,
    ti perde il capecchio!
    – E il bel mazzolino, comare Coletta,
    di fiori assai freschi!
    – Ancora non hanno lasciato cadere
    il vivo scarlatto.
    – Ricordan quei fiori, comare Coletta,
    gli antichi splendori?
    – Danzavi nel mezzo ai ripalchi,
    n'è vero, comare Coletta?
    Danzavi vestita di luci, cosparsa di gemme,
    E solo coperta di sguardi malefici, vero?
    – Ricordi le luci, le gemme?
    – Le vesti smaglianti?
    – Ricordi gli sguardi?
    – Ricordi il tuo sozzo peccato?
    – Vecchiaccia d'inferno,
    tu sei maledetta.

    "Saltella e balletta
    comare Coletta!
    Saltella e balletta!"

    Ricurva, sciancata,
    provandosi ancora di reggere alla piroetta,
    s'aggira per fame la vecchia fangosa;
    trascina la logora veste pendente a brandelli,
    le cade a pennecchi di capo il capecchio
    fra il lazzo e le risa,
    la rabbia le serra la bocca
    di rughe ormai fossa bavosa.
    E ancora un mazzetto
    di fiori scarlatti
    le ride sul petto.

    "Saltella e balletta
    comare Coletta!
    Saltella e balletta"
    Aldo Palazzeschi
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Davide Bidin

      L'Assolto

      Allor che i miei buoni fratelli m'avevan due volte sepolto,
      disse una voce: (io non so come e dove)
      "Assolto. Mancanza assoluta di prove".
      Si apersero tutte le porte, si apersero tutti i cancelli.
      "Assolto!" Io sono "l'assolto" miei cari signori, e ora che sono fuori guardatemi bene in viso: ho ucciso?
      "Assolto!"
      È la mia professione, che intendo bene di sfruttare dal suo lato migliore.
      "Assolto!"
      Appena uscito mi accorsi subito qual era il miglior partito.
      Fuggire? Nascondersi agli occhi della gente? Macché!
      Sottrarsi alla sconcezza del dubbio ch'io rivesto? Macché!
      Rivestirlo dignitosamente o con disinvoltura? Macché! Niente, niente!
      Esibirsi, senza misura, generosamente.
      Gli è perciò ch'io frequento le strade, il passeggio, i teatri, il caffè, come ogn'altr'uom non assolto: certe volte mi diverto poco... certe altre molto... né più né meno di lui o di te.
      Si sa che color che incontrandomi intrecciavan col mio bei sorrisi, vedeste ora che visi...
      che visi mi fanno!
      E che voci sorprendo dai crocchi! Vedeste che occhi!
      - Un innocente si scolpa.
      - E un farabutto lo stesso.
      - Ha taciuto, ecco tutto.
      - Ha taciuto come un innocente.
      - Ha taciuto come un farabutto!
      - E gli errori?
      - Questi sono gli errori, i delinquenti sono tutti fuori!
      Entro per tempo in teatro, prendo possesso della mia poltrona con molto sussiego.
      Mi volgo, mi chino, mi spiego; mi lascio ammirar giro giro con aria da Dio.
      E se certi visi si spostano resta inflessibile il mio.
      Per i primi venti minuti lo spettacolo lo do io. "Bella che stai puntandomi attraverso la lente dell'occhialino, dimmi, mio bel musino, mi desideri innocente, o mi desideri assassino?"
      Un signore là indietro, dai posti distinti, macina lesto fra i denti: "sul trono, sul trono i briganti!"
      E un altro: "guardate che ghigna stasera, facciaccia da galera!"
      Quando s'alza il sipario divento anch'io un umile spettatore, come lui, negli antratti ritorno un poco attore, eppoi ancora spettatore come te, come tutti gli altri.
      E se dopo all'uscita qualcuno mi aspetta, io esco pian pianino senza nessuna fretta.
      Poi vado al caffè. Finché c'è gente sveglia nella città resto a sua disposizione, nessuno dev'essere defraudato nella legittima curiosità, sono un galantuomo nella mia professione.
      E non crediate ch'io sia tardivo ad escir fuori al mattino, macché! bisogna pensare che il mattiniero ha gli stessi diritti del nottambulo cittadino.
      "Assolto!" Può sembrar poco... e può sembrar di molto.
      Guardatemi bene in viso: ho ucciso?
      Aldo Palazzeschi
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Davide Bidin

        I Fiori

        Non so perché quella sera,
        fossero i troppi profumi del banchetto...
        irrequietezza della primavera...
        un'indefinita pesantezza
        mi gravava sul petto,
        un vuoto infinito mi sentivo nel cuore...
        ero stanco, avvilito, di malumore.
        Non so perché, io non avea mangiato,
        e pure sentendomi sazio come un re
        digiuno ero come un mendico,
        chi sa perché?
        Non avvevo preso parte
        alle allegre risate,
        ai parlar consueti
        degli amici gai o lieti,
        tutto m'era sembrato sconcio,
        tutto m'era parso osceno,
        non per un senso vano di moralità,
        che in me non c'è,
        e nessuno s'era curato di me,
        chi sa...
        O la sconcezza era in me...
        o c'era l'ultimo avanzo della purità.
        M'era, chi sa perché,
        sembrata quella sera
        terribilmente pesa
        la gamba
        che la buona vicina di destra
        teneva sulla mia
        fino dalla minestra.
        E in fondo...
        non era che una vecchia usanza,
        vecchia quanto il mondo.
        La vicina di sinistra,
        chi sa perché,
        non mi aveva assestato che un colpetto
        alla fine del pranzo, al caffè;
        e ficcatomi in bocca mezzo confetto
        s'era voltata in là,
        quasi volendo dire:
        "ah!, ci sei anche te".

        Quando tutti si furno alzati,
        e si furono sparpagliati
        negli angoli, pei vani delle finestre,
        sui divani
        di qualche romito salottino,
        io, non visto, scivolai nel giardino
        per prendere un po' d'aria.
        E subito mi parve d'essere liberato,
        la freschezza dell'aria
        irruppe nel mio petto
        risolutamente,
        e il mio petto si sentì sollevato
        dalla vaga e ignota pena
        dopo i molti profumi della cena.
        Bella sera luminosa!
        Fresca, di primavera.
        Pura e serena.
        Milioni di stelle
        sembravano sorridere amorose
        dal firmamento
        quasi un'immane cupola d'argento.
        Come mi sentivo contento!
        Ampie, robuste piante
        dall'ombre generose,
        sotto voi passeggiare,
        sotto la vostra sana protezione
        obliare,
        ritrovare i nostri pensieri più cari,
        sognare casti ideali,
        sperare, sperare,
        dimenticare tutti i mali del mondo,
        degli uomini,
        peccati e debolezze, miserie, viltà,
        tutte le nefandezze;
        tra voi fiori sorridere,
        tra i vostri profumi soavi,
        angelica carezza di frescura,
        esseri pura della natura.
        Oh! com'è bello
        sentirsi libero cittadino
        solo,
        nel cuore di un giardino.
        -Zz... Zz
        -Che c'è?
        -Zz... Zz...
        -Chi è?
        M'avvicinai donde veniva il segnale,
        all'angolo del viale
        una rosa voluminosa
        si spampanava sulle spalle
        in maniera scandalosa il décolletè.
        -Non dico mica a te.
        Fo cenno a quel gruppo di bocciuoli
        che son sulla spalliera,
        ma non vale la pena.
        Magri affari stasera,
        questi bravi figliuoli
        non sono in vena.
        -Ma tu chi sei? Che fai?
        -Bella, sono una rosa,
        non m'hai ancora veduta?
        Sono una rosa e faccio la prostituta.
        -Te?
        -Io, sì, che male c'è?
        -Una rosa!
        -Una rosa, perché?
        All'angolo del viale
        aspetto per guadagnarmi il pane,
        fo qualcosa di male?
        -Oh!
        -Che diavolo ti piglia?
        Credi che sien migliori,
        i fiori,
        in seno alla famiglia?
        Voltati, dietro a te,
        lo vedi quel cespuglio
        di quattro personcine,
        due grandi e due bambine?
        Due rose e due bocciuoli?
        Sono il padre, la madre, coi figlioli.
        Se la intendono... e bene,
        tra fratello e sorella,
        il padre se la fa colla figliola,
        la madre col figliolo...
        Che cara famigliola!
        È ancor miglior partito
        farsi pagar l'amore
        a ore,
        che farsi maltrattare
        da un porco di marito.
        Quell'oca dell'ortensia,
        senza nessun costrutto,
        fa sì finir tutto
        da quel coglione del girasole.
        Vedi quei due garofani
        al canto della strada?
        Come sono eleganti!
        Campano alle spalle delle loro amanti
        che fanno la puttana
        come me.
        -Oh! Oh!
        - Oh! ciel che casi strani,
        due garofani ruffiani.
        E lo vedi quel giglio,
        lì, al ceppo di quel tiglio?
        Che arietta ingenua e casta!
        Ah! Ah! Lo vedi? È un pederasta.
        -No! No! Non più! Basta
        -Mio caro, e ci posso far qualcosa
        io,
        se il giglio è pederasta,
        se puttana è la rosa?
        -Anche voi!
        -Che maraviglia!
        Lesbica è la vaniglia.
        E il narciso, quello specchio di candore,
        si masturba quando è in petto alle signore.
        -Anche voi!
        Candidi, azzurri, rosei,
        vellutati, profumati fiori...
        -E la violaciocca,
        fa certi lavoretti con la bocca...
        -Nell'ora sì fugace che v'è data...
        -E la medesima violetta,
        beghina d'ogni fiore?
        fa lunghe processioni di devozione
        al Signore,
        poi... all'ombra dell'erbetta,
        vedessi cosa mostra al ciclamino...
        povero lilli,
        è la più gran vergogna
        corrompere un bambino
        -misero pasto delle passioni.
        Levai la testa al cielo
        per trovare un respiro,
        mi sembrò dalle stelle pungermi
        malefici bisbigli,
        e il firmamento mi cadesse addosso
        come coltre di spilli.
        Prono mi gettai sulla terra
        bussando con tutto il corpo affranto:
        -Basta! Basta!
        Ho paura.
        Dio,
        abbi pietà dell'ultimo tuo figlio.
        Aprimi un nascondiglio
        fuori della natura!
        Aldo Palazzeschi
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Edoardo Grimoldi

          La fontana malata

          Clof, clop, cloch,
          cloffete,
          cloppete,
          clocchette,
          chchch...
          È giù,
          nel cortile,
          la povera
          fontana
          malata;
          che spasimo!
          Sentirla
          tossire.
          Tossisce,
          tossisce,
          un poco
          si tace...
          di nuovo.
          Tossisce.
          Mia povera
          fontana,
          il male
          che hai
          il cuore
          mi preme.
          Si tace,
          non getta
          più nulla.
          Si tace,
          non s'ode
          rumore
          di sorta
          che forse...
          che forse
          sia morta?
          Orrore
          Ah! No.
          Rieccola,
          ancora
          tossisce,
          Clof, clop, cloch,
          cloffete,
          cloppete,
          chchch...
          La tisi
          l'uccide.
          Dio santo,
          quel suo
          eterno
          tossire
          mi fa
          morire,
          un poco
          va bene,
          ma tanto...
          Che lagno!
          Ma Habel!
          Vittoria!
          Andate,
          correte,
          chiudete
          la fonte,
          mi uccide
          quel suo
          eterno tossire!
          Andate,
          mettete
          qualcosa
          per farla
          finire,
          magari...
          magari
          morire.
          Madonna!
          Gesù!
          Non più!
          Non più.
          Mia povera
          fontana,
          col male
          che hai,
          finisci
          vedrai,
          che uccidi
          me pure.
          Clof, clop, cloch,
          cloffete,
          cloppete,
          clocchete,
          chchch...
          Aldo Palazzeschi
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Cheope

            Cobò

            Chicchicchirichi!... Chicchicchirichi!...
            "Ecco il dì".
            Cantano i galli di Cobò.
            Il vecchio Cobò è sul suo letto che muore
            fra poche ore.
            Povero Cobò! Povero Cobò!
            Ciangottano i pappagalli.
            Addio Cobò! Addio Cobò!
            E le galline:
            cocococococococodè:
            "oggi è per te"
            cocococococococodè:
            "Cobò tocca a te".
            Le tortore piene di malinconia
            si sono radunate in un cantuccio:
            glu... glu... glu...
            "non ti vedremo più".
            I cani si aggirano mesti
            con la coda ciondoloni, mugolando:
            bau... bau... baubaubò:
            "addio papà Cobò".
            E i gatti miagolando:
            gnai... gnai... gnai... fufù
            "Mai... mai... mai più".
            E le cornacchie:
            gre gre gre gre
            "anche a te, anche a te".
            Fissando il capezzale
            la civetta
            veglia e aspetta.
            Aldo Palazzeschi
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Cheope

              A palazzo Oro Ror

              Nel cuor della notte, ogni notte,
              la veglia incomincia a palazzo Oro Ror.
              In riva allo stagno s'innalza il palazzo,
              soltanto lo stagno lo guarda perenne e lo specchia.

              Già lenta l'orchestra incomincia la danza,
              la notte è profonda.

              Comincian le dame che giungon da lungi,
              discendon silenti dai cocchi dorati.
              Dei ricchi broccati ricopron le dame,
              ricopron le vesti cosparse di gemme i ricchi broccati.

              Finestra non s'apre a palazzo Oro Ror,
              ma solo la porta, la sera, pel passo alle dame.
              In fila infinita si seguono i cocchi dorati,
              discendon le dame silenti ravvolte nei ricchi broccati.
              Lo stagno ne specchia l'entrata,
              e l'oro dei cocchi risplende nell'acqua estasiata.

              L'orchestra soltanto si sente.
              Si perde il vaghissimo suono
              confuso fra muover di serici manti.
              La veglia ora è piena.
              Di fuori più nulla.
              Silenzio.

              Un cocchio lucente ancora lontano risplende,
              s'appressa più ratto del vento
              e rapida scende la dama tardante.
              Se n'ode soltanto il leggero frusciare del serico manto.

              Il cocchio ora lento nell'ombra si perde.
              Aldo Palazzeschi
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Marilù Rossi

                Rio Bo

                Tre casettine
                dai tetti aguzzi,
                un verde praticello,
                un esiguo ruscello: rio Bo,
                un vigile cipresso.
                Microscopico paese, è vero,
                paese da nulla, ma però...
                c'è sempre disopra una stella,
                una grande, magnifica stella,
                che a un dipresso...
                occhieggia con la punta del cipresso
                di rio Bo.
                Una stella innamorata?
                Chi sa
                se nemmeno ce l'ha
                una grande città.
                Aldo Palazzeschi
                Vota la poesia: Commenta