Scritto da: Angela MORI

La foto

Mi sentivo perire eppure sapevo che sarei dovuta rimanere lì ferma, mano nella mano con me stessa, senza fiatare senza forza. Come una morsa mi teneva serrata con quelle braccia scure e fredde, dove pareva non fosse mai passata linfa vitale. Eppure erano state vive, anche se non si muovevano, anche se ora erano morte. Mi sentivo stretta, puntata. Il mio volto, contorto appena in una smorfia decisa non da me, ma da chi per me era inerme, lo sguardo fisso in una gradevolezza che sapeva d'inganno. C'era luce appena; un chiaroscuro tumefatto da ombre scure, alcune oscillanti altre ferme, statiche, come me in quell'istante. Un istante, che diede tempo al diaframma mio di sentirsi inesistente, non usato, emarginato. Il suo invece si allargava; lo sapevo! Era come respirasse, come fosse vivo. Durò un attimo a stento poi la penombra divenne fulmine. La foto che immortalava quell'effimero ricordo, quel mio sorriso falso quella vita non tale in un istante era stata scattata. Non sarò mai più uguale come in quella mia figura rifratta che ho davanti e neanche le braccia forti di quella poltrona saranno più medesimi. Un attimo dopo, sono invecchiata di un attimo e a ogni attimo sfiorisco. Come lei. L'aria era già dissimile così come la luminosità, in quel fotogramma che ha ucciso in un momento un'intera esistenza. Ha ucciso per un baleno anche la vita già estinta di quel legno che fu albero e viveva tra la natura.

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